Omaggio a Lucia Buono - “Un vuoto nel colore” di Maria Vinella

Omaggio a Lucia Buono - “Un vuoto nel colore” di Maria Vinella
Presso l’Istituto De Nittis – Pascali di Bari è stata organizzata la mostra-evento “Un vuoto nel colore” dedicata alla memoria dell’artista pugliese Lucia Buono, scomparsa improvvisamente nei primi mesi quest’anno, dopo una breve e tragica malattia.
Quello di Lucia Buono è stato un lavoro coerente lungo decenni, sviluppato dai primi anni ottanta al 2016, e dedicato a una ricerca originale ed estremamente personale che ha avuto una propria, solidissima, riconoscibile identità. Una identità caparbiamente perseguita, conseguita con l’approdo ad un livello qualitativo “sostenuto e mai dimesso”, come ha scritto Enrico Crispolti. Un lavoro di una complessità inaspettata.
Culturalmente, l’artista si forma presso l’Accademia di Belle Arti di Bari, dove si diploma in Decorazione nell’82. Nell’83 realizza la sua prima personale presso “La cooperativa esperienze culturali” di Bari e vince il IX premio Lubiam con mostra al Palazzo Ducale di Sabbioneta, Mantova. Sin dagli inizi, Buono individua il proprio strumento espressivo nel segno, un segno in movimento, in crescita tissulare, un segno che in questi anni definisce paesaggi (nelle opere di questo periodo si intuisce un orizzonte, una parte inferiore del dipinto piena, ed espressiva del presupposto di gravità; una gravità che il successivo spazialismo invece negherà).
La trama pittorica adottata viene messa a fuoco nei dipinti di metà anni ottanta, dove i segni sono accolti in strisce e fasce, non senza qualche suggestione di dinamicità. In seguito, il segno ritmico si arricchisce e si espande sull’intera superficie dell’opera, creando un vero e proprio campo dinamico. Il tessuto di segni viene in un certo modo ordinato secondo una scansione regolare di riquadrature, precise trame di variazioni cromatiche, ordini di corrispondenze simmetriche, dove nulla è lasciato ad una informalità autobiografica, ma tutto è rigorosamente definito in una progettazione mentale. Ben presto il segno-colore comincia a muoversi, intervengono nel tessuto pittorico delle configurazioni ritmiche raccolte in andamenti serpentinati, flussi curvilinei, movenze diagonali. Entro questi spazi la trama crea aggregazioni luminose, entra in contrasto con il fondo della tela di juta (tela povera di arcaica consistenza contadina e di cultura agreste, come scrive il critico pugliese Pietro Marino), tela assunta nella sua valenza cromatica.
In quegli anni Miklos Varga definisce Lucia Buono “tessitrice di segni, tessitrice d’arte, il cui lavoro serio e riflessivo mostra grandi proprietà del linguaggio pittorico a lievitazione emozionale”. Descrivendo gli elementi serpenti che compongono il reticolo policromatico suggestivo, il procedimento compositivo che segue una progressione curvilinea, la libertà controllata della mano, la reinvenzione dell’immagine per certi versi immersa eppure affrancata nel/dal mondo naturale, lo storico dell’arte allude a un personale “essere nella natura per riconoscersi nella cultura”.
Nell’ ‘84 l’artista mostra il suo lavoro in due importanti personali: la prima allo “Spazio uno” di Maddaloni-Caserta, la seconda al “Centro Brandale” di Savona. Sono, questi, gli anni delle grandi tele cariche di ritmi in movimento, sviluppati per simmetrie, dove la ricerca evolve perché il tessuto segnico-cromatico si organizza non più solo in direzioni ritmiche, in flussi, ma inizia a germinare attorno a sorgenti di energie dalle quali partono onde che esplodono verso l’esterno. Come dice Massimo Bignardi: nasce nell’opera il principio iconico della sorgente del ritmo, quasi un nucleo che genera crescita, un ritmo che fittissimo nel centro, si sgrana lentamente diramandosi a corona, ad anelli.
Ne nascono vortici, spirali, “maestose archeggiature”. Questo lavoro procederà sino all’86-’87, quando nel compatto tessuto dell’opera si viene ad insinuare un principio di aggregazione nuovo. Scrive Enrico Crispolti: è come se il micro-cellularismo del tessuto desse luogo a delle costruzioni segniche complesse, a delle sorte di spore, di elementari embrioni, “quasi in analogia con una realtà fisiologica …”. “Qui, il suo lavoro si esprime rigorosamente in termini di superficie. Quindi tutto si svolge tra superficie e trama segnica tissulare. La questione è quindi quella della decorazione!” sostiene Crispolti.
Altro aspetto importante del lavoro della Buono è l’appartenenza alla cultura di un territorio. Possiamo parlare quasi di genius loci e di mediterraneità, espressa con una tissularità decorativa che contiene riflessi di un dialogo con l’Oriente. Componente significativa di questi segni è la luce, una componente luminosa determinata dal rapporto che si stabilisce tra i colori chiari (i bianchi, i gialli… ) e i colori più scuri. La presenza della componente luminosa nel tessuto del segno-colore crea effetti pulviscolari suggestivi, definendo effetti di profondità e di movimento apparente.
Se sino a fine anni ’80 le opere sembrano avere orrore del vuoto, poi progressivamente la pittura recupera il valore spaziale del fondo. Lo vediamo nelle opere esposte nella bella mostra al “Centrosei” di Bari, e nella personale del ‘90 alla galleria Putignani: “Gli universi dell’anima”. In questa occasione Manuela Crescentini nel testo critico scritto per la mostra parla di “spettacolo visivo messo in moto dalla trama pittorica ”, e parla di orizzonte visivo iconoclasta, alludendo a una pittura che spande onde visive nello spazio, onde fatte da un segno-colore risucchiato in simbolici buchi neri, “una continua simulazione di nascita e di morte dell’universo.”
In questa occasione Crescentini parla anche di una specifica scientificità del processo creativo messo in atto, basato sulla rigorosa autodisciplina del segno e sul rigore costruttivo e progettuale dell’opera.
Dal ’94-’95 in poi, la sperimentazione di Lucia Buono si misura con le tele di juta sagomate, dove la pratica decorativa (tecnica delle mascherine, degli stampini, del traforo… ) non è altro che un medium di comunicazione. In riferimento al lavoro dell’artista negli anni duemila si ritorna a parlare di mediterraneita’ (2007, mostra personale itinerante “Impulsi mediterranei”). Le opere ormai hanno perso i perimetri rettangolari o quadrangolari per assumere forme a trapezio, a losanga, ad ellissi e semiellissi, e lo stesso corpo materico della juta si frammenta, si estroflette, e diventa aggettante. Lo spazio della tela perde la sua bidimensionalità reale per assumere la veste di “isole fluttuanti”, fatte di tele sagomate. “Mappe” dice l’artista, dove tagli e segmenti portano la pittura a diventare scultura, forma nello e dello spazio.
Lucia Buono vince il Premio Sulmona nella XLIII edizione del 2015, e nel 2016 – a 59 anni – partecipa con successo alle sue ultime mostre.

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