11/04/2018  al 24/04/2018

Ritmi e Cromie delle Acque

A cura di: Laura Turco Liveri - Organizzazione Associazione Culturale ArtinArte

Ritmi e Cromie delle Acque
Mercoledì 11 aprile 2018, alle ore 17.30, all’ex Cartiera Latina sulla Via Appia Antica n. 42 (altezza Domine Quo Vadis), si inaugurerà la mostra di arte contemporanea Ritmi e cromie delle acque, curata da Laura Turco Liveri, storica e critica dell’arte, per l’organizzazione dell’Associazione Culturale ArtinArte di Paolo Viterbini e Walter Necci, e con i patrocini della Regione Lazio, Comune di Roma. La mostra resterà aperta fino a martedì 24 aprile, con i seguenti orari: 9.30-13.00; 14-18.30, dal martedì al sabato, (lunedì e domenica l’esposizione resterà chiusa), parcheggio interno.
L’esposizione propone un’ampia selezione di artisti che da anni lavorano sul tema dell’acqua e altri artisti che, per l’occasione, si sono voluti esprimere su tale tematica.
Tema principale della ricerca critica della curatrice, l’acqua, nelle sue molteplici implicazioni pratiche, concettuali, psicologiche, sociali, civili, politiche, si conferma ancora come problematica di estrema attualità e preminenza. Per questo, ribadire con la voce degli artisti visivi contemporanei l’importanza di tale elemento, fondamentale alla vita, e la sua integra conservazione e corretto utilizzo e libero accesso, rappresenta mantenere alto il livello di attenzione verso l’elemento stesso e gli avvenimenti ad esso correlati.
Il prestigioso sito espositivo, infine, anticamente fabbrica della carta, suggella, in altri ambiti, il legame tra carta ed acqua, tra fibra vegetale e diluente per sospensione, e per estensione, costituendo la carta l’elemento primario per l’espressione e la diffusione della cultura umana, tra vita organica e pensiero.

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di Laura Turco Liveri
 
 
L’acqua è un elemento fondamentale alla vita e di multiforme aspetto e consistenza. Per questo, travalicando ogni altra implicazione teorica - che pure sarebbe importante, ma forse non indispensabile in questa sede - l’acqua è di per se stessa un soggetto ‘indagabile’ e rappresentabile in ogni linguaggio artistico, qualsiasi livello di qualità e complessità sia stato raggiunto dall’‘operatore artistico’, pittore, scultore, fotografo, installativo, videomaker, e così spaziando nei vari media dell’arte.
Sia ben chiaro, la parola ‘artista’ deve essere sempre spesa con molta parsimonia, in quanto l’artista, a mio modesto avviso, è colui o colei che, partendo dalla realtà contingente, o interiore, o filosofica, o spirituale che dir si voglia, disgrega un linguaggio astratto come quello artistico per rifondarne uno nuovo, personale ma al tempo stesso comprensibile e comune a molti se non a tutti - specialisti dell’arte e non  - poiché nella propria ricerca attinge alla forza profonda o ad archetipi umani universalmente percepiti. Artista come interprete dell’umano, quindi, e come comunicatore, che per rivelare la propria visione del mondo, anche in un soggetto specifico, sceglie il medium che più si attaglia ad esprimerlo.
Parafrasando il concetto, questi sceglie le ‘parole’ che ritiene più adatte per ‘raccontare’ la ‘sua’ storia. Parole che nel linguaggio astratto dell’arte sono i ‘monemi’, le unità linguistiche primarie sulle quali si fonda l’organizzazione visiva, compositiva, ritmica, cromatica e materiale dell’opera e, più in generale, l’andamento della personalità artistica e stilistica dell’autore. Monemi che possono sembrare simili in autori della medesima epoca, ma che, ad un’analisi approfondita – e comunque basterebbe una ‘convivenza’ più o meno prolungata con l’opera – risultano invece sempre fecondi dal punto di vista comunicazionale: ogni volta che ci si accosta all’opera, si trovano significati nuovi. Fino ad arrivare a quell’autore che, grazie ai numerosi tentativi di ricerca di altri, riesce a comporre una summa delle istanze e delle tendenze dell’epoca contemporanea, fondando un linguaggio innovativo e divenendo perciò uno dei capiscuola di un dato momento storico.
Pertanto, valutare la congruità tra ‘messaggio’ e medium espressivo è uno dei modi che la critica possiede per indirizzare la propria percezione del lavoro di un ‘operatore dell’arte’, per individuare tentativi espressivi più o meno forti ed efficaci e tentare di illustrarne passaggi e intenti.
Una mostra come questa, che ospita, in modo alquanto aperto, vari livelli di ricerca e di espressioni artistiche, intende offrire visibilità e opportunità di scelta a molti operatori dell’arte, che si sono proposti nei più vari ambiti e come tali, si presume, saranno ‘gustati’ dai visitatori.
Infine, in questa nutrita accolta di esponenti, noti e meno noti, delle arti visive, si è creduta più agevole la descrizione in ordine alfabetico, eccezion fatta per Sabrina Carletti, prematuramente scomparsa ‘in corso d’opera’ nel marzo appena passato, e per Gabriella Di Trani, altrettanto prematuramente scomparsa all’inizio dello scorso anno, artiste che degnamente chiudono questa elencazione critica.
 
Noemi Aversa, Inconscio ludico – Il viaggio; Inconscio ludico - L’attesa. La dimensione ludica, cioè del gioco, come recita il titolo delle due opere in mostra, diviene per l’autrice occasione per lavorare su grandi temi esistenziali come il viaggio e l’attesa, ambientati sul mare. Nella manualità dell’assemblaggio dei componenti, l’intenzione di offrire allo spettatore l’aspetto curato del lavoro, intenzionalmente articolato in scansioni compositive proprie di certa illustrazione dedicata all’infanzia e perciò stesso gradevole e accattivante.
 
Maria Bartolucci, L’oro del mar. Recipiente per eccellenza, il vaso con l’imboccatura strombata contiene ed offre allo stesso tempo. Nell’intenzione di Maria Bartolucci, pesci, crostacei e conchiglie raffigurati sulla pancia fino alla sommità del vaso etichettano forse la qualità del contenuto, L’oro del mar.
 
L’opera di Paride Bianco, Amori, del 2017, fa parte della nutrita serie delle “Citazioni dantesche”, maggiormente iconica rispetto ad altre serie da lui dipinte. Nel fluire dei versi, l’ispirazione del pittore d’origine veneta, audace sperimentatore di tecniche e materiali, prende il via da un approccio di tipo informale, che costituisce l’essenza e il substrato dell’opera, sul quale il pittore ricostituisce forme astratte, individuate da sottili contorni o compattate grazie a pennellate materiche di colori sovrapposti.
 
Negli intenti di Francesco Maria Bonifazi, il connubio tra presente emozionale, organizzazione razionale e sentimento si traduce in un’articolazione stilistica peculiare e riconoscibile. L’interesse originario per la scomposizione prismatica della luce e la resa geometrica di tale scomposizione si presta anche, nell’opera qui proposta, all’identificazione simbolica del soggetto femminile, già di per sé portatore di molteplici significati legati all’acqua e iconicamente raffigurato al centro del dipinto, cromaticamente cardine dell’intera composizione.
 
La Chiusura ermetica dell’opera di Danilo Buniva, applicata al tema della mostra, ricorda il baluginio scomposto in lame di luce dai toni azzurri dell’acqua, circoscritta e contenuta, e non si pone in contrasto con l’astrazione costruttiva e al contempo otticamente e cromaticamente dinamica, da tempo ricercata dall’autore, non unico in un processo creativo che ha portato a diversi e validi risultati nell’arte contemporanea. Rigoroso tonalismo e rapporti geometrici tridimensionali costituiscono la presenza fisica dell’opera, rendendola imprescindibile ed esigente interlocutrice.
 
La polimatericità sperimentale di Claudio Caldana rivela esiti interessanti, soprattutto nelle opere degli ultimi anni. Ne Il lato oscuro della mente, vari passaggi pittorici e gli incroci sovrapposti di segni parzialmente inondati di materia e colore o compressi da inserti tridimensionali rendono efficacemente il ribollire vitale della vita e del pensiero, in un’equilibrata organizzazione compositiva.
 
L’immersione concettuale nella realtà vissuta e osservata a un tempo è stato il punto zero della rinnovata ricerca di Francesco Calia, il quale solo gradualmente e con estrema cautela si è sentito di intervenire personalmente in tale realtà, fotografata e lavorata meccanicamente su tela, pronunciandosi pittoricamente tramite estensioni geometriche semplici, a mano a mano emotivamente sempre più partecipi – grazie al segno e alle pennellate – di quel rispecchiamento arso di luce. Dentro – Aldiqua, rappresenta perciò il portale di attraversamento tra rappresentazione evocata e consistenza fisica dell’emozione, del pittore e di chi a sua volta lo osserva.
 
Natascia Campanelli colora di blu i propri sogni – come sembrerebbe dal suo Sogno tra le acque del Mar Rosso - decorazione in smalto su tela, stilizzato etnico per tutti i gusti. Altrove, invece, più chiaro appare un’ideale rifermento al cubismo sintetico, dai colori decisi e sgargianti, e la composizione si ‘aggiusta’ secondo linee ideali che attraversano il campo pittorico.
 
Armonia ed equilibrio promette ed ottiene Maurizio Campitelli nel lavoro qui proposto, ma aggiungeremmo anche ritmo e astrazione in delicato campo bianco, dove la precisa simmetria delle linee e delle forme si articola verso il punto di fuga centrale, direzione smentita in corner dall’inaspettata flessione verso l’alto di ogni linea prospettica, alzando l’orizzonte e verticalizzando il piano che normalmente fugge verso il fondo: un accorto ribaltamento visivo, verso lo spettatore, di quella parte della scena ritratta che, fermando per un attimo la fuga delle linee, ci rimanda al pensiero e al ricordo personali. E se il colore rosso denota passione - secondo la motivazione dell’opera data dall’autore - ci piace credere che egli abbia volutamente sdoppiato gli ombrelloni anche per dare idea di una parità assoluta di ruoli …
 
Una giornata al mare ci fa pensare ‘oltre’, come recita visivamente l’installazione di Daniela Caporro, accattivante composizione in ceramica raku e maiolica. Attraverso ironia e certa giocosità dell’aspetto dei soggetti rappresentati, l’autrice entra in comunicazione con lo spettatore, illustrando con gradevolezza le proprie tematiche esistenziali.
 
Oltre lo spazio tradizionale del supporto, Candida Cardito, nelle sue sculture orizzontali, si abbandona a forme tridimensionali, narrando storie visive, scaturite da sensazioni indotte dal vivace cromatismo tonale e dalle superfici notevolmente lavorate. Nei suoi intenti, infatti, principale risultano lo sfondamento della consueta superficie bidimensionale dell’opera a parete e l’alterazione dei contorni complessivi dell’opera in linee che seguono la consistenza e l’orientamento strutturale dei multiformi e molteplici materiali sperimentati, piuttosto che il ritmo e l’evidenza delle forme compositive legato a qualsivoglia soggetto predeterminato.
 
The black wave, ovvero, ‘Come possiamo, noi umani, rovesciare i destini del mondo.’... Con assoluto rigore e nitore tecnico, concettuale, esecutivo, dissimulato e perfetto artificio e quella necessaria, chirurgica distanza emotiva, che le permette di affrontare tematiche di una disperante attualità, Rosanna Cattaneo ci mostra la bellezza nera di un’onda marina fotografata che, nel rispecchiamento simmetrico di se stessa abbraccia l’osservatore, catturandolo nella sua affascinante, ipnotica e  mutevole fissità geometrica, tonale, segnica. L’inevitabile attrazione visiva del disastro finale permea lentamente l’inconscio dell’osservatore, che dopo la visione dell’opera torna alle proprie abitudini, alimentato ormai inesorabilmente dal dubbio e dalla riflessione critica.
 
Unire manichini e pittura è quasi sempre un’azione di provocazione, oltre che, in alcuni casi, di dissacrazione. Nell’opera proposta, Daniele Cianfanelli ricopre un busto maschile della sua tipica pittura astratta, cromaticamente vivace e imperniata sui toni del blu. Libero, ma senza braccia, il manichino non guarda direttamente l’osservatore, bensì volge lo sguardo a lato, forse nella ricerca di nuovi orizzonti.
 
L’Ulivo cervo di Alessandro Cignetti è più immateriale di quanto non ci si aspetti. La forma iconica che rimanda al soggetto da cui il pittore trae ispirazione per la serie specificatamente dedicata viene smentita dalla modalità esecutiva della descrizione: se ci si avvicina all’opera, ci si accorge che il fondo in realtà non esiste e le forme che da lontano compattano l’immagine evocata dell’albero si disgregano in volatili particole autonomamente significanti, ritmiche pulsazioni di un pensiero che dalla superficie dipinta si perde evanescente verso l’infinito di un pensiero ancora in costruzione.
 
Argento, rame, manganese, cobalto, nickel e zinco sono tra i materiali che il deep sea mining, la scansione meccanica del fondo degli oceani rintraccia e preleva, distruggendo l’equilibrio degli ecosistemi marini più grandi del mondo. Con pittura materica, accattivanti andamenti formali e ricercati cromatismi, che intendono denunciare tale processo decantando la bellezza intrinseca dell’acqua e della natura, il pittore neopop Carmelo Compare restituisce nell’opera La luce e i giochi dell’acqua uno dei risultati più rilevanti del proprio percorso stilistico.
 
Anche se l’immagine suggerita dal titolo dell’opera di Giovanna Crudele, E la luna si scioglie nell’acqua, conserva un proprio fascino poetico, l’illustratività della figurazione ne sminuisce l’evocatività che la lavorazione della materia pittorica potrebbe piuttosto comunicare. In altri dipinti, infatti, dove Crudele si svincola dal contenuto scontato delle sue icone, prediligendo la comunicazione del messaggio nel ‘non detto’, insito nella stratificazione pittorica e nell’elaborato cromatismo, la coerenza e l’efficacia espressiva dell’opera divengono invece apprezzabili.
 
Il piacere di dipingere di Rita Denaro, che affronta in questa occasione espositiva soggetti contrastanti come Macchina e acqua, si avverte nel particolare delle pennellate descrittive e nelle stesure acquarellate tono su tono, che evidenziano progressivamente forme e aspetto iconici prorompenti, nel taglio fotografico dell’immagine e nella sovrapposizione di molteplici piani di profondità.
 
 I Residui emotivi di Cinzia Di Noto sono il risultato della raccolta di materiali naturali impastati con il colore materico, quasi a sottolineare un divertito e invertito passaggio dall’iconismo dipinto dei vasi da giardino alla realtà del concetto, vento, aria, foglie, fiori, colori che dir si voglia, tridimensionalmente reso. Nelle intenzioni della pittrice, il concettuale panta rei – “tutto scorre” – indifferentemente impasta in ambiente acquatico ogni istanza, emozione o ricordo.
 
Gaetano Di Stefano programmaticamente svolge un lavoro di denuncia sull’inquinamento ambientale perpetrato dalle società umane e, nel farlo, utilizza pittoricamente scansioni grafiche dedicate alla comunicazione chiara ed esplicita del messaggio. In questa semplicità icastica risiede l’equilibrio formale dell’opera Se questo è un mare, e la sua intrinseca attrattiva.
 
Le perle di Maribel Diez completano il simbolismo descrittivo di un’opera di decorazione, chiusa in un disegno dal tracciato elementare e ravvivata solo da un’accattivante cromatismo ritmico dai lontani riecheggiamenti simbolisti.
 
Una visione terrifica, quella di Simonetta Domiziani, nella sua Aggressive Dirty Water, contrariamente allo spensierato dettagliatissimo cromatismo delle forme che ha connotato finora la maggior parte delle sue storie visive.
Il tema dell’opera risulta chiaro in un secondo momento di lettura, quando l’incubo cattivo dell’onda sporca ha ormai inesorabilmente sovrastato l’impressione dell’azzurro ribollente del mare, sconvolto, in primo piano. Nitida come sempre nei concetti, espressi con una vivace acquarellata pittura dalle stesure omogenee, anche in questo lavoro l’autrice distingue formalmente colori e particolari descrittivi, rilievi, increspature, curvature dei materiali utilizzati, e pur rendendo inequivocabile l’iconismo complessivo dell’opera, riesce a scavare nelle paure recondite di chi guarda.
 
Un’azione concettuale è quella operata da Patrizia Dottori nelle fotografie digitali del progetto Shinebergs ’10 Touchable|as|Untouchable realizzato nel 2010 in Spagna nella cava di granito a Luz de Compostella, due anni dopo rispetto al precedente progetto, nato sul ghiacciaio del Perito Moreno in Argentina (Firebergs ’08 Hot|as|Ice). Invertendo la fotografia da positivo a negativo l’artista non smentisce il soggetto fotografato, l’acqua, sia dimostrando la primarietà fondamentale dell’elemento naturale sia creando una discrepanza tra cognizione acquisita e artificio della nuova immagine, per attirare l’attenzione mentale dell’osservatore e indurlo a una riflessione critica sull’ambiente fotografato: “il concetto del cambiamento attraverso la trasformazione”, appunto.
 
Giovanni Errichiello, postfuturista impegnato – grafico e pittore, designer e illustratore nel settore arredamento - tenta di coinvolgere lo spettatore, con gli ampi andamenti lineari e la reiterazione ritmica degli elementi architettonici, utilizzati come geometrie curvilinee compositive, nel messaggio di impegno civile di recupero dell’ambiente, impegno che in futuro diventerà sempre più pressante e inderogabile.  
 
La gestualità a lungo praticata da Renzo Eusebi, dopo la nutrita serie materica di lavori incardinati sul monocromo, è stata progressivamente codificata e racchiusa in partizioni ortogonali e geometriche della composizione e via via ‘allontanata’ prospetticamente in una nuova organizzazione formale del piano espressivo. L’imprescindibile esigenza tattile della tridimensionalità si è essenzializzata in figure geometriche basiche, declinate secondo ritmiche compositive e cromatiche al contempo armoniche e dialettiche, imponendo ancora una solida presenza dell’autore.
 
Anne-Lise Fabre, Face au mur. Perché per il titolo l’autrice sceglie un’espressione così dura, quando la foto da lei scattata propone l’incanto della contemplazione, la pausa della riflessione, nella sospensione di un attimo dello scorrere impetuoso di una parete d’acqua, che, tutto sommato, risulta impenetrabile e finita? Un muro d’acqua, appunto, il quale, proprio per il suo limite fisico, diviene uno specchio del pensiero che rimanda, all’osservatrice ritratta e, per trasposizione, a chi guarda la foto, percezioni della propria, spesso sconosciuta e a volte disarmante interiorità.
 
Effettivamente, come scrive Marcella Cossu nella motivazione all’opera che il pittore Antonio Farina ha scelto di pubblicare in catalogo, diversi e ponderosi sono i riferimenti stilistici che potrebbero riecheggiare nelle modalità esecutive e nella tavolozza scelta per l’opera Riflessi colorati. La linea orizzontale di demarcazione della riva del fiume, asse speculare cui si incardina il gioco delle verticali degli alberi rende tuttavia il dipinto un peculiare esempio di pacato paesaggismo e astrazione cromatica, sulla base di quelle Compenetrazioni iridescenti del Balla futurista, ammorbidite dal pulviscolare cromatismo dei macchiaioli.
 
Lo spaesamento simil-optical di Assunta Ferrini conferisce ai suoi dipinti il tessuto visivo di un piacevole vortice di colori e luci contrapposte, sinesteticamente ravvisabili nel momento clue di un forsennato concerto jazz. La proposta a dittico, poi, palesa la volontà dell’autrice di coinvolgere lo spettatore nell’intera composizione geometrica senza più punti di riferimento. Vortici d’acqua?
 
Danzatori nel blu, quelli di Nora Nikolova Ficcadenti, o meglio nel grigio-azzurro indefinito che consente all’arancio dei parati incrociati delle stesure di colore spatolato di prendere corpo, attraversando in diagonale l’intera superficie del quadro. Istintualità del gesto e voluta partizione compositiva segretamente convivono nella stessa opera.
 
Tutto fuorché le stelle in senso tradizionale e nostalgico rievoca il dittico dipinto da Rosario Genovese, M33-7-Progetto 13 Binaria X, concettualmente ispirato invece all’evoluzione di due stelle binarie e al fagocitare dell’una – ormai buco nero – l’energia e la materia dell’altra.
Modalità di certo surrealismo contemporaneo si uniscono al piacere archivistico del tracciato fine di forme visionarie su fondi dalle stesure irrequiete, incastonando la continuità curvilinea del cerchio e della spirale in un nitido cammeo visivo.
 
Il dipinto Ritorni in alternanza di Marco Giacobbe si inserisce nel filone ipericonico che da diversi anni  viene affrontato da una nutrita schiera di pittori. Fermo restando che non si tratta di iperrealismo pitto-fotografico bensì dell’immagine formata da un tessuto pittorico comunque autonomo rispetto al contenuto espresso dall’opera, l’estrema riconoscibilità iconica non sminuisce l’intento programmatico dell’opera, simbolica metafora della vita, come anche certo implicazione con il concetto di rispecchiamento e di doppio, qui affrontato con garbata quanto appropriata linearità.
 
Barbara Giacopello alleggerisce nel dipinto Vortex le forme che in altri lavori scandiscono fortemente la composizione. La stesura pittorica infatti accompagna in velatura le curvature dei neri triangoli, digradanti verso il centro del vortice. Astrattismo in movimento che non smentisce le premesse dell’autrice, partita già dall’alleggerimento delle linee-forza di un astrattismo costruttivo, verso la rappresentazione di direzionalità e forme più immateriali ed in cammino, oggi, in direzione di una ricerca pittorica pura, più articolata e raffinata.
 
‘Scultopittorepop’, Gigi Gramantieri sfugge ad ogni definizione critica tradizionale, poiché il ‘fare’ è al centro dei suoi interessi. Per questo, spesso, non si cura di risultati seriosamente rigorosi dal punto di vista formale, bensì esprime se stesso e le tematiche su cui riflette con i materiali i più diversi, anche di recupero, insieme ad un parato pittorico immediatamente evocativo. E via di corsa a casa, sottolinea l’indifferente quotidianità che non considera i danni ambientali provocati dalla società umana.
 
Un manifesto del tema della mostra, il “diario pittorico - manifesto delle immagini” del dipinto di Francesco Grasso, che nel cerchio della vita prende le rondini a simbolo dell’eterno ritorno dell’energia vitale - originata dall’acqua - resa anche con pennellate a taches e colpi di spatola con colori squillanti, ad annunciare la primavera del mondo.
 
Gli intenti di denuncia e di svelamento di tabu generalmente celati alla quotidiana coscienza, vengono da Alessia Grifoni evidenziati con il simbolismo cromatico e gestuale della partizione della superfice dell’opera. Dal blu e dal nero dell’oblio al giallo della luce della conoscenza, spatolate di energia segnica attorno a collage giornalistici non più eludibili dall’osservatore.
 
La superficie pittorica lavorata con pennellate parallele a rilievo riesce a dare la sensazione sinestetica della pioggia per tutta la composizione. Una composizione piuttosto schematica, che tuttavia rivela l’interesse costitutivo di Francesco Guidoni per l’astrazione, qui declinata in versione pop: pioggia, mare, sabbia diventano perciò per l’autore un suggestivo pretesto per un’elegia del pensiero e della sua forma.
 
Partito da un iconismo di forte denuncia sociale, Luciano Lombardi si è messo da anni alla ricerca dentro di sé di una forma che trattenga in modo sempre più coeso la propria visione del mondo e dell’arte. Per questo, scomponendo e ricomponendo sue opere, paesaggi, figure, oggetti, pensieri, visioni, ha distillato progressivamente un personale astrattismo cromatico e formale che conserva la forza dell’oggetto e al contempo eleva in spiritualità stesure e geometriche partizioni.
 
Marina Loreti, Blue area: il ritmo visivo conferito alla partizione ortogonale della superficie pittorica, originato dalla scansione geometrica di forme rettangolari, viene intensificato dalla differenza di materia e dalla giustapposizione di colori tonali, drasticamente interrotti dai rossi che ne accelerano il movimento visivo. Ne scaturiscono profondità particolari dalle quali l’attenzione dell’osservatore riemerge inesorabilmente scossa.
 
La sottile rete di contraddizioni insita nell’opera di Rosa Marasco, Immerso, tra la Terra e il Cielo, rende la figurazione iconica, di nitida fattura, un inganno ottico persistente, che smentisce costantemente la codificazione acquisita del soggetto rappresentato: un angelo accosciato che guarda verso l’alto di un cielo che in realtà sembra essere il pelo dell’acqua visto dal fondale, come rivelano infatti, sulla pelle dell’angelo e sull’addome, le ragnatele dei riflessi tipici del sole che attraversa la superficie dell’acqua, proiettando i raggi rifratti sulle superfici immerse che incontra.
 
Avere negli occhi le cascate dell’Iguazù significa registrare la maestosità, la bellezza e la particolarità di una delle sette meraviglie del mondo. Una spaccatura della crosta terrestre inondata di una imponente portata d’acqua, il rigoglioso ambiente naturale di conseguenza sviluppatosi e mitologia e cultura umane ad essa correlate divengono, per un pittore, una fonte immensa di stimoli, com’è stato per  Salvatore Marsillo, che, nel dipinto omonimo, rende con colore tonale diluito e una lavorazione articolata della materia pittorica l’emanazione fisica e spirituale di tale evento naturale, senza scendere in facili e scontate descrizioni.
 
Se la pittura è comunicazione e se il pittore è sincero comunicherà qualcosa di sé che verrà sicuramente recepito da chi guarda la sua opera - così mi raccontava anni fa Franco Soligo, gallerista romano, che nella sua galleria ha promosso la generazione della Scuola di Piazza del Popolo e ha promosso giovani artisti di qualità, che hanno trovato una loro collocazione nel mondo dell’arte. Anche se la forma pittorica dell’opera potrebbe risultare elementare e a volte perfino sgrammaticata, quindi, la sincerità del sentimento di chi la dipinge travalica l’applicazione verso l’impegno del ‘fare arte’, come nel caso di Damiano Sergio Massaro, che riesce a comunicarci la sensazione di una giornata invernale.
 
L’idea di Percorsi d’acqua è resa da Beatrice Mastrodonato tramite un fascio di pennellate concitate in contrasto con il colore del fondo che visivamente si espande verso lo spettatore e, allo stesso tempo, percorre il quadro in senso orizzontale. E anche se l’autrice si fosse ispirata alla forma reale dell’acqua in movimento, altresì la resa totalmente astratta e bilanciata permette all’osservatore di fruire l’opera anche in senso mentale, in un articolato incontro di sensazioni e pensieri.
 
Le vele in primo piano di Marisa Mazza, poste su un supporto circolare e un fondo variegato dai colori profondi delle acque marine, formano un accattivante microcosmo in cui lo spettatore può divertirsi a immaginare ricordi.
 
La “ricerca dell’invisibile filo che tutto unisce ed un’arte al servizio dell’uomo” fanno di Monica Melani e della sua opera un integrale percorso di vita, comprensibile ai più in tappe successive, data la profondità dei risultati ai quali nel tempo è arrivata e la peculiarità inusuale della sua stessa ricerca, la pittura energetica Metodo melAjna®. La propria sensibilità si mette in azione durante le performances che attua con le persone rilevando nell’acqua memorie ancestrali e passati individuali, trasferiti sulla carta in veri “ritratti energetici”.
 
Estrapolando - non unica nel suo genere ma molto efficace nei risultati - un particolare di realtà, colto in uno specifico momento di luce e di movimento, la fotografa Monica Memoli compie un processo di astrazione che si sublima nella trasposizione di forme in altri e diversi significati, coadiuvata dall’attenta partizione geometrica compositiva. L’esaltazione dell’incanto del reale, perciò, viene dall’autrice trasformato in storie che portano lontano, in un percorso di circolare ritorno al sé.
 
Il completamento dell’opera con l’interazione del pubblico è una delle componenti fondanti dell’opera di Gisella Meo, simboleggiata artisticamente fin dal 1970 con l’estroflessione dei riccioli dal quadro dell’opera a parete e poi delle stringhe in tela cirè del suo modulo, un quadrato inciso concentricamente che di lavoro in lavoro conquista come una ragnatela lo spazio ambientale, in esso variamente articolandosi. La “rivitalizzazione gestuale della forma geometrica” (Bentivoglio 1978) unifica la fase antecedente con il lavoro più maturo e si conclude con il gesto collettivo determinato dall’installazione ambientale, come nei tre momenti espositivi di animazione urbana dedicati all’acqua divenuti un film, Histoire d’eau.
 
Isole conchiuse e perciò evidenziate, isole in mezzo al mare e feti come isole: Patrizia Molinari, artista concettuale ma non solo, sottolinea la peculiarità di ognuno rispetto al circostante e, per farlo, ricorre, analizza, trasforma l’immagine e il concetto di acqua e luce, in pittura, in scultura, in fotografia e nelle installazioni. Piegando i raggi rifratti e riflessi della luce che attraversa il vetro – suo materiale d’elezione -a curvare forme, confonde la nostra percezione del reale, inducendoci nuove sensazioni e storie. Il girasole impazzito di luce, di montaliana memoria, diviene realtà onirica dove tutto può accadere e tutto trasformarsi, in nuovi mondi, in dimensioni altre dell’essere.
 
Divertissement oggettuale, il raku di Ada Nataloni ricrea in piccolo, sul fondo della ciotola, articolata come una conchiglia, la spumeggiante profondità del mare, dove le cristalline applicate sulle pareti esterne dell’oggetto riportano con coerenza rappresentativa a gocce d’acqua.
 
Tipico nel percorso artistico di Walter Necci è il contatto, ottenuto tramite l’inserimento fisico dell’oggetto, tra elaborazione pittorica e materica con elementi del mondo reale, chitarre, cravatte, scarpe femminili, busti di manichini - come nel caso dell’opera proposta in mostra – in un rispettoso bilanciato rapporto dialogico tra la propria fisica, emotiva espressività e taluni simboli del mondo moderno, introiettati da tempo nella mente di chi guarda. Il mare dentro gioca sulle trasparenze plastiche del manichino, elegantemente vestito dal peculiare spessore materico dell’autore, inducendo, dopo un primo rapido shock visivo, l’attraversamento concettuale dell’opera in successive fasi di riflessione.
 
Maria Nobili ama dipingere e dipinge quello che vede nella propria anima, senza curarsi di modalità e mezzi espressivi diversi da quelli della pittura tradizionalmente accettata. Il silenzio del paesaggio fluviale oggi proposto, La risaia, porta con sincera emotività lo spettatore nel mondo accattivante da lei amato e ritratto.
 
Rendere in scultura un elemento naturale come l’acqua, con un materiale opposto come la plastica, impermeabile e soprattutto non biodegradabile - che in natura resiste praticamente inalterata fino in  microparticelle disgregatesi negli anni e depositatesi pericolosamente anche sui fondali dei mari - è l’arduo compito che si è posta Isabella Nurigiani nell’opera Acqua, significativo step della sua pluriennale ricerca su tale tematica. Rigorosa ricercatrice formale e concettuale, Nurigiani, pur giocando con la bellezza estetica del plexiglas, con gli inusitati effetti e riflessi prodotti dalla luce che attraversa la densità trasparente e con gli inganni percettivi, insiti nella composizione strutturalmente geometrica e affatto ‘naturalistica’, elegantemente va oltre, ribadendo l’improrogabile necessità dell’impegno di ognuno per la cura e la salvaguardia dell’ambiente.
 
“…Così tra questa / immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare.”.
Caratterizzata sempre da un’insita percentuale di scettica inconsapevole dissacrazione, quasi curiosa nel vedere le reazioni dell’osservatore alle sue operazioni espressive, Ilaria Occhigrossi omaggia il mare del suo inespresso pensiero, e così come traspone l’infinitezza del paesaggio oltre la siepe leopardiana nelle immense profondità marine così sbalza la visione dell’opera su un piano concettuale e simbolico, curando con attenzione insieme e particolari del proprio lavoro.
 
Con l’opera H. Due. O., accattivante scultura dalle forme flessuose, Beatrice Palazzetti rende il simbolo dell’acqua zampillante e della ricaduta a terra in gocce con la trasparenza del plexiglas tagliato in linee sinusoidali e una roccia bianca come basamento.
 
Una composizione del Balla futurista sembra essere la fotografia del fiume Tevere di Luca Paolella, per la ritmicità omogenea degli scuri digradanti delle onde alternati alla luce livida riflessa nelle depressioni curve delle stesse, mentre una dorsale di mezzi toni collega le linee della composizione portando il movimento verso lo spettatore. E tra le pieghe degli scuri, il riflesso di un infinito inquietante  inconscio.
 
Leggerezza dell’essere nell’opera di Marina Parentela, che ha scelto per questa esposizione una litografia di un proprio dipinto sul quale ha impresso una sua poesia sul tema dell’acqua, interpretando cromaticamente a parole il movimento dell’acqua. Da sempre intimamente legata alla natura, Parentela ha lavorato sui temi fondamentali della vita e dell’animo, nella scultura e nelle installazioni, essenzializzando  il più possibile forma e contenuti.
 
Se l’intento di Flaviana Pesce in talune sue opere risulta essere alquanto alleggerito da riflessioni più critiche, i risultati espressivi, considerati nella scia pop di un’ironia giocosa, quasi  patafisica, comunicano complessità concettuali a vari livelli e tempi di lettura. Chi ha detto che l’arte ‘deve’ essere seria?
 
Sospesa nell’indistinto, pulviscolare fondo azzurro - come l’acqua, ma anche come l’aria e il pensiero -  l’isola segnica di Marisa Pezzoli, libera da significanti codificati, continua il suo viaggio imperturbabile alla scoperta di nuovi archetipi dell’essere.
 
Il particolare iconismo di Alessandro Piccinini rende sempre riconoscibile le sue opere. Ironico provocatore, riporta le modalità esecutive e la macrocomposizione su un piano di magmatica espansione, per poi ricondurre ogni particolare nell’economia della figurazione voluta. Si potrebbe parlare di surrealismo aniconico, fissato nel momento di massima icasticità della comunicazione del messaggio, per riprendere ogni volta l’esplorazione del dipinto scoprendo nuovi piccoli spazi dell’immaginazione.
 
La forma circolare del supporto dell’opera di  M. Yajaira Pirela M. rimanda alla sfericità della Terra vista dallo spazio, alla forma conchiusa di un’osservazione mirata, al moto circolare dell’eterno ritorno che, applicato al principio di Lavoisier “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, conferisce al soggetto rappresentato, l’acqua vorticosa dipinta in molteplici livelli di profondità, significato simbolico e filosofico al contempo della vita al punto di non ritorno, l’oro blu nelle nostre inconsapevoli mani.
 
Nel Rivolo afono proposto in mostra, Luciano Puzzo non smentisce il proprio impianto compositivo, frequente anche nelle foto di recente pubblicazione: la partizione a metà del quadro, che conferisce dialettica e dinamicità a un tempo. Forse in relazione a ciò, un intento poetico più evidente e un barlume istantaneo di speranza, rende quest’opera più ‘morbida ‘ nelle forme, con un’area pittorica maggiormente estesa, pur sottendendo nella figurazione sempre quell’alfabeto afono, quell’urlo sommesso, quel “No” di indignazione e di protesta, che caratterizza le sue opere. Un’opera sinestetica, grazie ai molteplici livelli di lettura, dalle lettere alfabetiche al loro ritmico e tonale mescolarsi, dalle stesure pittoriche alla grafica compositiva.
 
La capacità di Elvi Ratti di sintetizzare, in forme espressive e linguistiche proprie dell’arte, un’emozione, un concetto, un ‘immagine si registra anche nella scultura da lei proposta, Oceano, nella quale il nastro ceramico riporta a segno la percezione del movimento, della fragorosa sonorità, delle nuances di colore, nonché della consapevolezza e risonanza mentale che una reale onda oceanica possiede.
 
La ceramica policroma è una grande sfida espressiva, pericolosa per chi non organizza in modo ferreo forme e scansioni compositive geometriche, vibranti dell’iniziale emotività dell’autore che le ha concepite. Giulio Repulino si prova nell’impresa, ottenendo risultati più coerenti quando modula attentamente i toni  cromatici delle proprie composizioni, travalicando altresì espansioni lineari curvilinee di colori giustapposti.
 
Se si considera l’opera di Giuseppe Ribechi alla luce della frase di riferimento da lui riportata come motivazione, dello scrittore e cineasta libanese Wajdi Mouawad, si codifica l’andamento curvilineo delle partizioni geometriche della composizione e il cromatismo alternato tra toni freddi e caldi come la traduzione dell’articolato melting pot di Sensazioni provate dai protagonisti dei romanzi di Mouawad: “il cielo non ha visto niente di più bestiale dell'uomo".
 
La calibratura delle parti che compongono una installazione è un lavoro di estrema concentrazione di forze e di severa scelta degli elementi compositivi, evitando di cedere assolutamente a qualsivoglia eccezione espressiva che non sia legata alla composizione. La trasposizione in ceramica delle forme e dei colori del mare e dei suoi tipici abitanti, attuata da Teodora Ricciardi, rivela un coraggioso azzardo in forme pop di una modalità espressiva fin troppo abusata.
 
Cesare Saccenti, un professionista dell’arte che ha deciso di approfondire modalità espressive emerse negli anni Settanta, come i riquadri in tessuto tagliato concentricamente di Gisella Meo (in mostra), raffinando progressivamente scelte e stesure cromatiche che completano la tramatura modulare che, al contrario della Meo, non esce dalla superficie a parete per conquistare il mondo, bensì si sovrappone ad essa, sottolineando la necessità ancora in essere di scavare in profondità per cercare oltre le superfici.
 
Operazione concettuale, quella di Enrico Saggese, che propone una campana tibetana con acqua di colore rosso e il percussore a disposizione. Sinesteticamente unendo percezioni di sensi diversi, vista, tatto e udito, Saggese intende trasmettere alle profondità del nostro essere la sensazione di unità con il mondo e con il divino.
 
Singolare tecnica mista, quella di Rosemary Salkin Sbiroli, che orchestrando campiture pittoriche, zone a collage, disegno e forme iconiche svincolate dalle consuete proporzioni, che suggerisce una rinnovata interpretazione di sensazioni ed emozioni che non esulano da certo surrealismo aniconico.
 
Tecniche miste e pittura materico-gestuale si alternano o si compenetrano nell’opera di Manuela Scannavini, dando vita a composizioni astratte dai colori bilanciati e mai urlati, da certo gradevole grafismo e dall’alleggerimento delle forme costruttivo-astratte alla De Stael.
 
Il Giardino verticale di Maurizio Schächter Conte flette l’immagine – la facciata del padiglione d’Israele all’EXPO di Milano nel 2015 e il giardino verticale attiguo – fino a rendere efficacemente una composizione del tutto astratta, fortemente sezionata in diagonale, che nasconde l’origine fotografica del soggetto, consentendo in tal modo letture anche simboliche dell’opera.
 
Anna Maria Tani lavora sugli intrecci di forme quadrangolari ortogonalmente disposte, realizzate matericamente con strisce in tessuto che scandiscono mappe costruttive di territori sconosciuti. Il parato cromatico, che l’autrice organizza nell’ambito della tela, è volto all’equilibrio tonale e a sottolineare chiaroscuri di una topografia dell’immagine, in un traslato materico e segnico di volta in volta congruente al soggetto indagato.
 
“L’uomo che ha l’acqua nelle scarpe / guarda le barche lontane”, di Jacques Prévért, fa da contrappunto alle barche di Jacques Brel, “che arrugginiscono in porto / per non aver mai rischiato una vela fuori.”
Le allegre vele disegnate da Gabriella Tirincanti nel dipinto Conosco delle barche, “vanno in gruppo / ad affrontare il vento forte al di là della paura.”. Nella speranza che tornino “quando hanno navigato / fino al loro ultimo giorno […] / perché hanno un cuore a misura di oceano.”.
 
Luigi Tiso, un mosaicista moderno che si ispira formalmente alle forme musive del periodo ellenistico-romano a soggetto naturalistico, come quello dell’aula absidata del Foro Civile dell’antica Praeneste, l’attuale Palestrina, nel recupero di tecniche del passato che hanno fatto la storia.
 
Lo “svelamento epifanico” di Vincenza Topo – per usare un termine individuato dalla critica Barbara Martusciello anni orsono – si incardina sul tema della maschera strappata e della realtà rivelata. Con tale modalità  esecutiva, l’autrice si è cimentata oggi sul tema dell’acqua, compattando la composizione entro un rettangolo di potenti strisce scure da cui emerge la forma dell’acqua e dei suoi contenitori.
 
Partendo da una concettualizzazione relativamente facile dell’opera, incentrata esclusivamente sul tema del mare e dell’orizzonte dalle molteplici atmosfere ‘paradisiache’, Alessandro Trani tenta in realtà una ricerca formale di tipo aniconico, calcolata sul ritmo geometrico delle partizioni compositive e sull’andamento lineare scandito dalle intensità cromatiche.
 
È difficile per un artista esprimere un concetto preciso senza appesantire il volo della forma. Sabrina Trasatti riesce a comunicare la propria sensibilità per l’umano e per il sociale senza sbavature o inutili concessioni formali, ma anzi aggiungendo un quid intrinseco ai lineamenti dell’opera, che ammorbidisce il necessario rigore compositivo e l’essenzialità dei componenti, grazie forse alla diversità dell’animo femminile la cui ricchezza conosciamo ancora troppo poco.
 
La partizione concettualmente geometrica degli strati materici della pittura di Gheorghe Untu è la vera ricchezza del pittore moldavo, e il settore espressivo in cui l’opera realizzata trasmette efficacia cromatica ed energetica. Le partizioni costruttive che compongono le sue opere si possono collocare tra le modalità del russo naturalizzato francese Nicolas De Staël e l’informale astratto.
 
È significazione simbolica ottenuta tramite un riconoscibile iconismo, che non esula dal piacere di dipingere, a caratterizzare l’Alba di Antonella Urbinelli. La scelta di focalizzare l’attenzione dell’osservatore su un unico soggetto in controluce – la barca ormeggiata – costituisce il punto di partenza circolare della lettura visiva del dipinto.
 
Fotografia simbolica, si può definire quella di Marina Visvi, incessante sperimentatrice di soggetti, tagli prospettici e resa fotografica. Anche se la sua Venere e l’acqua scaturisce da una messe di riferimenti dotti - primo fra tutti la mitologia della nascita di Venere dalla conchiglia (i genitali di Urano, recisi dal titano Crono fecondano il mare in cui erano stati gettati, generando la nota spuma da cui nasce Venere, già fanciulla) – ma soprattutto l’impostazione junghiana dell’approccio critico e sentimentale alla vita, Visvi riesce far emergere una propria attuale simbologia, ancora da indagare.
 
Meccanismi lirici, si potrebbe chiamare la tendenza recente delle opere di Paolo Viterbini, in cui la luce pulviscolare, rifratta dalle pennellate pointilliste e da sempre disposta in linee-forza parallele al piano del quadro, si estroflette dal supporto a parete, completando il meccanismo compositivo nell’evidenza tattile di forme geometriche ed equilibrati rimandi lineari.
 
In conclusione, come preannunciato, il ricordo di due artiste recentemente scomparse.
 
Gabriella Di Trani, forte, implacabile e dissacrante comunicatrice di contenuti fondamentali delle società umane e della vita. Il contrasto appositamente creato tra le modalità espressive – pittoriche, audio/video e installative - proprie della comunicazione su vasta scala e dell’iconismo semplificato dei personaggi dei cartoon disneyani, nonché l’importanza e la novità del complesso messaggio che l’autrice intende inviare, crea la forza espressiva intrinseca ad ogni opera, eternando risposte di straordinaria attualità.
Il titolo dell’installazione qui proposta, FIAT! (“Sia fatto!”), rievoca l’ordine divino nel secondo giorno della creazione (“Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque” e “Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che sono sopra il firmamento. Dio chiamò il firmamento cielo.”, Genesi I, 6-8): Dio che separa, oltre ad averlo creato, il cosmo dal caos e Dio che delimita spazi e ambiti d’azione dando ordine al cosmo e, di riflesso, sulla terra (intesa come unica e continua distesa d’acqua originaria).
Proprio in tale rispecchiamento tra ordine cosmico-divino e il suo riflesso sulla terra, interviene l’azione provocatoria della Di Trani, che infrange la legge divina frantumando l’immagine speculare di Dio sull’acqua della terra e innescando una serie di riflessioni che possono contemplare la necessaria liberazione dell’uomo da un’immagine e da un modello di comportamento codificato all’origine, un ‘vedere oltre’, come pure la fragilità intrinseca alla contemplazione univoca di se stessi, il Narciso in ognuno di noi.
 
Sabrina Carletti, di cui più volte abbiamo scritto criticamente, è incisore e pittrice. Instancabile sperimentatrice di forme e materiali, nonché grande didatta, Carletti ha improntato il proprio percorso artistico sulla finezza del segno e delle linee, a fasci o variamente intersecantesi, in lunghe prospettive o in spinosi intrecci, passando, nella stessa opera, dall’ispirazione iconica all’emanazione emotiva ed espressiva, resa su un piano di morbida astrazione, quale solo un incisore riesce a realizzare, costantemente scontrandosi con la durezza e la difficoltà dei supporti. Il graffio, l’incisione lacerata dalle ‘barbe’ metalliche divelte sulla lastra rendono infatti la stampa ‘sporca’ e corposa, quasi una voce roca che vela il segno, incrementandone la drammaticità e pervenendo a chiaroscuri cromatici anche nel monocromo. Collage, video, poesie e scritti completano l’opera di Sabrina, autonomamente o sapientemente dosati nella stessa opera soprattutto nell’ultima fase del suo lavoro - oltre all’impegno nel ‘sociale dell’arte’ e non solo - in cui pittura, segno, composizione, forma, affabulazione e testo poetico, sensibilità emozionale e consapevolezza fisica e intellettuale si legano armoniosamente in una congruenza finalmente compiuta.

 

Luoghi

  • EX CARTIERA LATINA - Appia Antica, 42 - Roma
     +39 065126314
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