08/03/2017  al 28/03/2017

Nicola Maria Martino. "Unum - Io guardo"

A cura di: Francesco Gallo Mazzeo - Testo di Nicolas Martino

Nicola Maria Martino. "Unum -  Io guardo"
Siamo con voi nel colore
Nicolas Martino
 
«Dove siete quando eravamo mille diecimila centomila non è possibile che fuori non c'è più nessuno non è possibile che non sento più niente che non sento più una voce un rumore un respiro non è possibile che fuori c'è solo un immenso cimitero dove siete mi sentite non sento non vi sento non sento più niente». Così, nelle ultime righe de «Gli invisibili», il protagonista racconta l'epilogo dell'insurrezione gioiosa degli anni Settanta finita in una sconfitta, dietro le sbarre del carcere. Una sconfitta politica ed esistenziale che coincideva anche con una violenta deprivazione sensoriale, una impossibilità di vedere, di sentire, di toccare, di parlare. Eppure, poche righe dopo, la chiusura del romanzo affida a un atto poetico la resistenza alla sconfitta: i prigionieri, tutti insieme, accendono una serie di fiaccole infilate nei buchi delle grate a illuminare il buio della notte, fuochi tremolanti che potevano essere visti solo da lontano e dall'alto, dagli automobilisti lontanissimi sull'autostrada e dagli aeroplani altissimi in cielo. Perché la resistenza e la fuga sono un diritto, ma soprattutto, non bisogna dimenticarlo, sono sempre possibili. E in effetti, a quella scontitta non solo politica ma anche artistica, a quello scacco della modernità e delle sue false promesse, è stato possibile resistere tracciando molteplici linee di fuga creatrici, e tra queste una delle più potenti è senz'altro quella che ha seguito e segue la via del colore e del suo timbro poetico. Una linea che punta tutto sul colore, le sue variazioni e le sue intensità, come significante puro che resiste alla logica della rappresentazione. In questo senso l'opera «Io guardo» è un atto poetico dove ciò che compare non rappresenta: i volti, gli aeroplani, le barche, le case, le biciclette, le cabine, gli alberi e i fiori, sono puntuazioni di colore. Il rosa-albania, l'azzurro-bisanzio, il giallo-daunia, il rosso-levante, anche solo accennati, sono significanti che istituiscono una logica propria al di là di ogni significato, proliferazione di significanti puri come perpetuo indizio di un altrove. Ma quella che si traccia qui è anche una linea «minore» contro tutto ciò che è «maggiore», nel senso che ciò che è stato o sarà, ovvero la storia, è sempre maggiore, ma ciò che diviene, in questo caso il colore, è sempre minore. «Io guardo» è allora, in quanto ripetizione differente, un'opera che sceglie il divenire contro la storia, la differenza e le sue infinite variazioni cromatiche contro la dialettica del potere. Un'opera «straniera», come stranieri sono questi volti, perché mette in moto uno scarto laterale rispetto alla tradizione moderna. Un'opera minore, come già quelle di Osvaldo Licini e Giorgio Morandi, Carmelo Bene e Tommaso Landolfi, perché a ognuno di questi volti non si può chiedere la carta d'identità né tantomeno di rimanere se stessi. Ognuno di quei volti, come i molti invisibili del romanzo, accende fiaccole nella notte, fiaccole di colore che tracciano via di fuga dal carcere dello spettacolo moderno. E noi siamo con loro, sempre altrove, nel colore. 

Luoghi

  • Bibliothè Contemporary Art Gallery - Via Celsa, 4 - 00186 Roma
             39 066781427

    Orario apertura galleria dal lunedì al sabato dalle 11 alle 23

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