Venezia 54. Accademie Di Belle Arti Alle Tese di San Cristoforo le opere dei giovani artisti italiani

La visita alle Tese di San Cristoforo nell’Arsenale di Venezia, dove è ospitata una sorta di appendice indipendente del Padiglione Italia, la mostra delle Accademie di Belle Arti, rappresenta un’opportunità per riflettere sul ruolo di questa istituzione. Infatti, nonostante la crisi in cui si dibatte, acuita da una burocrazia che, se troppo spesso le impedisce di compiere a pieno la sua funzione sociale e culturale, in alcuni casi, invece, è l’alibi per nascondere le inadempienze, l’accademia continua a essere per i giovani l’unica possibilità di formazione e crescita.


Venezia 54. Accademie Di Belle Arti
Alle Tese di San Cristoforo le opere dei giovani artisti italiani
di Loredana Rea
 
 
La visita alle Tese di San Cristoforo nell’Arsenale di Venezia, dove è ospitata una sorta di appendice indipendente del Padiglione Italia, la mostra delle Accademie di Belle Arti, rappresenta un’opportunità per riflettere sul ruolo di questa istituzione. Infatti, nonostante la crisi in cui si dibatte, acuita da una burocrazia che, se troppo spesso le impedisce di compiere a pieno la sua funzione sociale e culturale, in alcuni casi, invece, è l’alibi per nascondere le inadempienze, l’accademia continua a essere per i giovani l’unica possibilità di formazione e crescita.
Il percorso espositivo, decisamente ben curato, offre al pubblico una selezione di artisti, scelti tra i diplomati negli ultimi dieci anni nelle accademie italiane. Molti sono quelli già conosciuti, ma tanti altri sono al loro debutto, a dimostrazione che l’istituzione accademia, sebbene si trovi a dover affrontare le difficoltà generate da un complesso e incompleto iter di riforma, continua a essere un reale laboratorio in cui prendono forma le progettualità e le sperimentazioni di quei giovani che hanno consapevolmente scelto l’arte come pratica professionale.
Il collante è la frantumazione del linguaggio, che materializza le differenze, le singolarità, le inevitabili diversità di orientamenti della ricerca contemporanea e delinea uno spaccato vivace, in cui la lezione post-concettuale, innestandosi su una componente meno fredda, legata alla volontà di recuperare i valori del fare a mano, convive con la necessità di maneggiare con estrema disinvoltura i mezzi espressivi legati alla tradizione e quelli proposti dalle nuove tecnologie, per recuperare il piacere emozionale, eppure estetizzante, generato dall’uso creativo dei materiali offerti dal quotidiano e dall’arte.
Molta la pittura, ma anche “altro”, tra cui la complessa installazione di Stefano Giovannone, Millenovecentosettantaquattro, che rappresenta un ulteriore e organico sviluppo dell’originaria necessità di elaborare criticamente gli elementi biografici in funzione di un linguaggio evocativo eppure minimale. Questo lavoro recente, realizzato con la consueta attenzione al raggiungimento di un necessario equilibrio formale, è un altro passo verso l’ineludibile bisogno di aggiungere un nuovo tassello alla costruzione della consapevolezza di sé, per restituire al passato una nuova possibilità di essere e, soprattutto, per tessere una differente trama del presente. La scelta della propria data di nascita per il titolo indica la volontà di marcare un punto di inizio, che pur rimanendo ancorato all’esistenza di un individuo superi la necessità di raccontarsi in maniera esplicita: “Infatti – afferma l’artista – la consapevolezza di conoscere il proprio percorso evolutivo, la possibilità di raccontarlo, di modularlo e se vogliamo anche di annullarlo è la cosa che mi stimola di più nella mia ricerca”. E poi aggiunge: “Il millenovecentosettantaquattro è la mia data di nascita, ma questo non vuol dire che l’opera faccia riferimento a quell’anno. La vedo come punto di partenza quasi fosse l’indizio giusto per dare vita a un’esistenza collaterale e dipendente da quella nata realmente in quell’anno”.
Come per l’istallazione precedente I mobili vanno via, anche per quest’opera presentata a Venezia protagonista è il mobilio di famiglia, quello che ha accompagnato il farsi della sua vita, che è stato testimone silenzioso di accadimenti felici e di momenti difficili, che ha custodito oggetti di uso comune e i ricordi strappati all’inesorabile scorrere del tempo. Qui una soglia, un mobile che non ha nessuna funzione, che è solo un lembo di sintetica ma simbolica scenografia della quotidianità della vita, si interpone tra due elementi simili a delle cassettiere, costruendo tra loro una sorta di filtro permeabile. È una finestra temporale, che offre l’impossibile possibilità di andare e tornare nel tempo, per di manipolare ciò che è stato. Lo spazio definito dalla presenza architettonica dei tre oggetti è pervaso dall’intervento sonoro, che ne accompagna lo sviluppo, catturando l’attenzione e coinvolgendo nella visione. La composizione, curata da Massimiliano Cerrone, elabora rumori e voci avvalendosi della musica elettronica per ottenere dei risultati finali decisamente non tonali e arrivare a definire un elaborato consequenziale capace di incidere profondamente sull’orecchio umano.
Anche per questo importante appuntamento Giovannone ha progettato un’installazione organica nella realizzazione progettuale, che rappresenta un più maturo sviluppo della necessità di elaborare un linguaggio in cui ogni cosa è sapientemente ricondotta alla sua dimensione interiore.