Un’arte per l’uomo di Ida Mitrano

Un’arte per l’uomo di  Ida Mitrano
 
L’Aquila Forever non è solo una mostra. E’ molto di più.
Nel suo porre l’attenzione sull’Aquila, su quello che è accaduto nel 2009 e, nello stesso tempo, guardando al futuro di questa città, pone di fatto una questione di grande attualità e di fondamentale importanza: quella del ruolo dell’artista nella società contemporanea. Non è un caso che essi abbiamo aderito numerosi all’iniziativa perché, come dice Ernst H. Gombrich, «non esiste una ‘cosa’ chiamata arte, ma esistono gli artisti e le loro opere». Infatti, chi meglio di un artista può gettare un ponte tra la memoria e lo sguardo verso il futuro? Chi meglio di un artista può essere testimone del suo tempo? Ma cosa significa “essere testimone”? Di certo, non può tradursi nel documentare, nel rappresentare i fatti accaduti perché questo può farlo la fotografia. Significa, piuttosto, trasmutare in visione il vissuto del proprio tempo, i caratteri che lo contraddistinguono e i germi del nuovo. Citando ancora un altro grande personaggio, Nadine Gordimer, si può affermare che così come «lo scrittore indagando il mistero della vita porta in sé una parte di questo mistero», anche l’artista indagando se stesso e il mondo, esplora territori sconosciuti, incontrando l’altro sé e l’altro da sé e, dunque, la vita e il suo scorrere nel tempo e oltre il tempo. E’ questa la grande forza dell’arte.
In L’Aquila Forever gli artisti sono presenti, nella loro diversità, con una pluralità di linguaggi, di espressioni, di percorsi artistici. Diversi anche per generazione, eppure uniti nell’essere, con il loro segno, testimoni della realtà. Una varietà di esperienze in rapporto a un dramma così terribile, doloroso, devastante, che caratterizza significativamente i due pannelli, 99 rintocchi per la resurrezione e Onna nel cuore. Pur nelle dissonanze che d’altra parte non mancano dato il carattere collettivo delle opere, emerge con forza il sentimento dell’umano di cui l’artista, se è tale, è sempre espressione autentica. Per questa ragione, la mostra non è una “collettiva” a tema dove le opere, dialogando tra loro, figurano autonomamente. La collettività, in questo caso, non è una scelta espositiva ma una coralità che nasce da quell’ “essere testimone”. Un atto che diviene “valore”. Un valore oggi dimenticato, obsoleto.
Nell’attuale stato delle cose l’artista si trova a vivere il “fare arte” in una condizione d’isolamento. Per le profonde trasformazioni dello scenario contemporaneo e la conseguente perdita di relazione con la società, quel “fare” è considerato inutile perché non corrisponde ai parametri di spettacolarizzazione culturale che connotano l’epoca. Infatti, ciò che oggi sembra prevalere è l’immagine, l’apparire perché questo vuole il sistema dell’arte. Ma, in questo apparire l’opera non tocca più il mistero delle cose, bensì la loro superficie e ciò che conta non è più il suo valore intrinseco quanto, invece, il suo valore espositivo.
Dare una risposta a tutto questo è possibile. Deve essere possibile perché altrimenti l’arte si trasforma in un gioco di società. Ritrovare altre modalità di rincontro con la contemporaneità e rifondare le ragioni dell’arte non guardando al passato ma alla nuova e diversa realtà dell’umano, diviene una priorità.
Per queste ragioni, la forza di questa iniziativa non è solo in ciò che è dichiarato, nei fini proposti, ma nell’aver aggregato gli artisti la cui adesione convinta, partecipe, è il segno evidente della volontà di “esserci”, della necessità di una presenza vera, autentica nella vita, nel proprio tempo, della imprescindibilità del rapporto uomo-società. Non un’arte sociale, né un’arte per la società, ma un’arte per l’uomo nel fluire dell’esistenza.