Tamara De Lempicka: Donna D’oro

Tamara De Lempicka: Donna D’oro
S’intitola “Tamara De Lempicka. La regina del moderno” la più grande retrospettiva dedicata all’artista polacca, inaugurata l’11 marzo (fino al 10 luglio) a Roma al Complesso del Vittoriano. Presenta un percorso articolato tra 80 dipinti e circa 40 disegni realizzati a partire dai primi Anni ’20 fino agli Anni ’50, che permettono di cogliere il modus operandi della pittrice, tutto votato alla rappresentazione della modernità e all’esaltazione della donna libera, autonoma e spregiudicata.  



di Daria Ulissi
 
S’intitola “Tamara De Lempicka. La regina del moderno” la più grande retrospettiva dedicata all’artista polacca, inaugurata l’11 marzo (fino al 10 luglio) a Roma al Complesso del Vittoriano. Presenta un percorso articolato tra 80 dipinti e circa 40 disegni realizzati a partire dai primi Anni ’20 fino agli Anni ’50, che permettono di cogliere il modus operandi della pittrice, tutto votato alla rappresentazione della modernità e all’esaltazione della donna libera, autonoma e spregiudicata.  
Il clima gelido della Varsavia inizio Novecento si percepisce tutto nelle opere dell’artista ‘nomade’ Tamara De Lempicka e non importa se i soggetti ritratti siano vestiti o meno perché l’immagine riprodotta tocca il nostro più profondo sentimento scosso come da brividi invernali. Sono le scale dei grigi o i colori prettamente glaciali, tanto freddi che si muovono dal fondo per poi arrivare alle figure, a rendere l’impatto tra opere e spettatore, algido, artico ma non per questo scevro di emozioni. I colori dell’incarnato delle muse, appese come icone ai muri delle sale, non bastano a riscaldare gli animi dei ‘fedeli’amatori, solo le storie che stanno dietro alla creazione potranno rinfrancarli. La nascita dell’idea, il legame tra l’artista e i modelli accendono il nostro cuore anzi lo infervorano.
Immersi nelle molteplici opere esposte viaggiando con la mente in Paesi differenti, Russia, Italia, Francia e Stati Uniti, cresciamo insieme alla «bella polacca» (per dirla con Gilles Néret), ampliamo le nostre conoscenze unitamente al lavoro della più grande interprete dell’arte nell’era moderna, per indagare su quali furono le strade da lei percorse e in quali occasioni cambiò rotta per andare a toccare terre inesplorate.
L’incontro a Parigi nel 1918 con quello che diverrà presto il suo vate, André Lhote, fu un momento stimolante dal quale ereditò la costruzione geometrica, immobile, fissa, senza sentimentalismi della figura. Le opere di questo periodo, Ritratto del Marchese Sommi e Ritratto del Marchese D’Afflitto, sono veri e propri manifesti delle ormai superate istanze cubiste e delle neonate idee puriste di Ozenfant e Le Corbusier. Non si può tuttavia paragonare la sua produzione a mere esercitazioni di stile post-avanguardista - se pur con dei rimandi allo studio dei volumi cézanniani - ma si deve vedere in queste immagini, come scavate nella materia pastosa dei pigmenti, il manifesto di una nuova corrente, più semplicistica, di forte impatto visivo e senza scritti teorici alle spalle, ma comunque influenzata da tutto il panorama storico-artistico esplorato fino ad allora.
Accenni di primitivismo - che anche il cubismo aveva sperimentato - nel Nudo Seduto (1925); echi cinquecenteschi disturbati dalla figura di Ingres - sempre presente - ne Il Ritmo e nel Gruppo Di Quattro Nudi (entrambi del ’25); ispirazioni da Cézanne, Derain, Braque e Picasso per la decostruzione cubista di Kizette in Rosa (1926); forti connessioni col surrealismo come in Chiave e Mano (1941); un ultimo approdo verso il recupero della rappresentazione oggettiva picassiana nella Ragazza Messicana (1948). C’è anche chi vede nelle opere della De Lempicka dei legami con le tele di Edward Hopper nell’accezione più metafisica delle creazioni dell’americano, raffronto un po’ azzardato ma pur sempre legittimo.
Un’ infinità di paragoni, «una babele di elementi rielaborati in modo geniale» che fanno della pittrice e delle sue opere -quotate con prezzi da capogiro-  un antologia del contemporaneo, da perlustrare, da sfogliare e da far propria.