Rendez - Vous con Achille Pace

Achille Pace, pittore molisano di nascita e ancora fortemente attaccato alla sua terra, ma romano d’adozione, mi riceve nella sua abitazione. La casa è piena di quadri che trovano posto ovunque...
Ogni spazio disponibile è buono per “mettere in mostra” opere d’arte, che raccontano di una storia lunga e importante.


di Daria Ulissi


Achille Pace, pittore molisano di nascita e ancora fortemente attaccato alla sua terra, ma romano d’adozione, mi riceve nella sua abitazione. La casa è piena di quadri che trovano posto ovunque...
Ogni spazio disponibile è buono per “mettere in mostra” opere d’arte, che raccontano di una storia lunga e importante. Il maestro e la moglie mi fanno accomodare nello studio strapieno di dipinti, sculture di legno, ceramiche, documenti, foto: si respira ovunque un piacevole odore di colori. Da sempre in prima fila nella costruzione di un linguaggio capace di esprimere le istanze dell’avanguardia senza dimenticare la tradizione, affascinato da Cézanne, Klee, Mirò, Burri e Pollock, Achille Pace è presente alla XXXIX (1980) e alla XL Biennale di Venezia (1982) ed è invitato più volte alla Quadriennale di Roma. Nel ‘90 tiene una personale dal titolo "Infinito & Infinito" presso la Galleria Soligo e la Galleria Fontanella Borghese di Roma; partecipa a "Disegno Italiano del Novecento" alla Villa Malpensata di Lugano e nello stesso anno è tra i trentotto artisti della mostra "Roma anni 60" al Palazzo delle Esposizioni di Roma, una manifestazione dedicata a quelle ricerche che, partite dalla sperimentazione pittorica, sconfinarono in modalità extra-pittoriche, film e video compresi. Inizio l’intervista …
 
Come definirebbe il nostro tempo e l’arte che lo caratterizza?
Quella che viviamo è l’epoca dello smarrimento, non quello deleterio o suicida. Oggigiorno non siamo più in un’epoca univocamente definibile come poteva essere il Rinascimento, il Barocco, il Neoclassicismo, il Romanticismo, che nascevano con un’indicazione di stile, di modelli mentali e di cultura a cui riferirsi. Oggi non c’è più nessun modello da seguire, non c’è più un Re, non c’è una indicazione unitaria che dia un ordine alla società e indichi come operare. Certo, tutto ciò è un bene, questa libertà da vincoli egemonici l’abbiamo voluta noi. Non solo. La libertà acquisita è stata anche una conseguenza a quanto causato dalle due disastrose guerre mondiali. Le situazioni belliche altro non hanno fatto che suscitare nelle ‘anime buone’ un gran desiderio di riscatto individuale. Ognuno di noi vuole un merito che lo identifichi. È così che diveniamo singoli individui, sparpagliati, smarriti. L’unità di intenti, di cultura, di società e politica è scomparsa.
 
E quand’è che nasce l’artista autonomo, libero da obblighi stilistici e culturali?
Proprio a questo punto viene fuori l’artista che, staccandosi da vincoli stilistici e accademici e necessitando di una identità ben definita, deve reinventarsi da solo.
Proprio a questo punto viene fuori l’artista che, staccandosi da vincoli stilistici e accademici e necessitando di una identità ben definita, deve reinventarsi da solo. Dal Romanticismo l’individualità e le espressioni individuali prendono il posto che prima era dei valori assoluti ed unitari.
 
Ma allora come si fa a creare l’arte se i valori passati sono stati messi in crisi?
Si dice: «Voglio fare un gesto. Voglio esprimere hic et nunc (qui ed ora) la mia essenza fisica e mentale». Questa è l’eredità dell’arte moderna e del pensiero esistenziale ed è proprio da queste posizioni che nascono diverse correnti. L’arte diventa un fatto privato non più di Stato. L’artista sceglie di essere se stesso non in modo egoistico ma solo per riscattarsi. Da questa scelta personale prende piede lo stile individuale dell’artista stesso, ovvero la poetica. Pensiamo a Burri e alla poetica del sacco. Quale artista meglio di lui si può prendere ad esempio. Con le sue opere non si da vita ad uno stile o ad un movimento ma ciò che scaturisce è la poetica personale del pittore. Chiaramente oltre all’idea bisogna affidarsi ad altri due elementi fondamentali per il processo creativo di un’opera, ossia il segno e la materia o meglio il segno sulla materia.
 
E lei come si pone nei confronti della materia?
Io ho coraggio nel fare delle azioni. Di fronte alla materia non bisogna arrestarsi ma bisogna impugnarla con spontaneità e vedrai che ti risponderà perché è molto più generosa di quello che si pensa. Mi piace sperimentare nuovi materiali. Utilizzo terra, sabbia, fili... Un mio quadro del ‘58 che ora si trova a Marsala in una mostra intitolata “Articolo 9. I paesaggi d’Italia” per le celebrazioni del 150° anno dell’Unità, è stato realizzato con della terra che raccolsi a Termoli, la mia città natale. È una terra molto particolare che ha molte gradazioni e lavorandola attentamente ha dato alla mia opera delle sfumature inimmaginabili. In tutte le mie opere in cui uso dei materiali poveri come la sabbia o la terra mi viene in mente la frase di Eugene Delacroix “datemi del fango e vi dipingerò una Venere”.
Sempre per rimanere in tema Unità d’Italia ho inviato al Palazzo Reale di Torino, dove il 28 giugno si terrà un’asta di beneficienza, una mia ultima creazione.
 
Pensa di essere arrivato alla meta che si era prefissato di raggiungere? È soddisfatto delle sue conquiste?
Io sono soddisfatto. Sono e mi sento realizzato, perché sufficientemente rappresentato da quello che faccio, dai miei segni e dalla fragilità della loro materia. Ma il mio desiderio ad oggi è fare ancora di più e mi riferisco alla consistenza della materia e alla durata del tempo. A guardare i miei quadri rimango ancora stupito: li osservo e scopro il mio inconscio. Più lavoro e più mi sento vitale a livello creativo. Dal rigore dei primissimi quadri sono passato ad una vivacità fenomenica data dai colori, dalle nuove forme. Mi sono liberato dagli enormi condizionamenti che caratterizzano i miei primi lavori. La mia arte è spontanea, non è un calcolo, è piuttosto la parte non conosciuta di me stesso. In altri termini, a questo serve l’arte per l’artista: conoscere quella parte di se stesso ancora sconosciuta.
 
Dai suoi primi lavori, dove l’influsso di Van Gogh sembra essere input alla creazione, come è arrivato alla cifra che ha contraddistinto e continua a contraddistinguere la sua ricerca?
All’inizio ero molto affascinato da Van Gogh sempre per l’uso che fa della materia. Il suo segno è tutt’uno con il colore - materia. I miei primi quadri, affini al modo di lavorare dell’ artista olandese, li ho realizzati durante la guerra, ispirato da un libro che mi regalò Turcato. Lo studiai a fondo e il lavoro che ne scaturì è il risultato dell’incontro del mio spirito e del mio corpo, cioè inconscio e conscio. Poi fui attratto dalle opere di Paul Klee, durante il mio soggiorno in Svizzera. Klee ha tentato di coniugare scienza e arte come ha fatto Leonardo. Egli insegnava la forma - formazione, cioè cercava di spiegare scientificamente il processo creativo della figurazione attraverso lo sviluppo del punto, linea e superficie. Sono stato sempre attirato da queste nuove istanze guidate da fenomeni inconsci, come poi accadde con gli automatismi surrealisti.
 
Una ultima domanda su questa Biennale. Cosa ne pensa?
Certo, il numero di artisti è eccezionalmente alto: 2.200 artisti sono difficili da gestire ma anche da interpretare nel senso dei valori che esprimono. Come dicevo, il nostro tempo è frammentato e disordinato e forse è questa la chiave di possibile lettura di questa edizione della Biennale. Quando ci sono così tanti espositori il rischio è che gli artisti più conosciuti non si esaltino e quelli minori non guadagnano visibilità. Il nostro tempo soffre di dissidi, sempre conseguentemente ad una società non egemonica , ma divisa per classi e partiti. Questo causa l’avvento di ‘poetiche’ e non di ‘stile di un’epoca’. Pertanto è un’epoca tutta individuale che entra in crisi come unità di stato. La contrapposizione tra stile e poetica riaffiora quindi come crisi del nostro tempo in questa scelta provocatoria. Quel che è certo però è il rischio dello sbilanciamento quantitativo a scapito di quello qualitativo.