Regina José Galindo alla Fondazione Fòcara 2016 di Maria Vinella

Regina José Galindo alla Fondazione Fòcara 2016  di Maria Vinella
Regina José Galindo alla Fondazione Fòcara 2016
di Maria Vinella
 
In occasione del complesso progetto della manifestazione della Fòcara 2016, ospitata in gennaio a Novoli (Lecce), si sviluppa la sezione d’arte contemporanea che vede, quest’anno, la partecipazione di Regina José Galindo e di Gianfranco Baruchello. L’interessante e articolato evento, realizzato con la direzione artistica e la cura di Giacomo Zaza, prevede video, performance, interventi/azione (e mostra) dei due artisti di fama internazionale. In particolare, l’artista guatemalteca Galindo propone un’azione, in prima mondiale, dedicata al suggestivo tema del fuoco rigeneratore e propiziatorio.
Da anni, tutto il lavoro di Regina José Galindo focalizza la propria attenzione sulle disuguaglianze e le ingiustizie nonché sulle discriminazioni di razza, di genere, sociali e di potere, che l’artista denuncia attraverso l’arte mettendo in scena azioni dove affronta personalmente rischi fisici e psicologici. Ogni sua performance indaga la vulnerabilità umana, i rapporti precari tra morte e vita, tra violenza/oppressione/paura/dolore. Documentate in fotografie e video, tali azioni corporali sono esempi paradigmatici di una produzione d’impronta politica connotata dal contesto sociale del paese d’origine, il Guatemala, territorio segnato dalla lunga guerra civile e dalla dittatura militare.
La sua politica estetica – come ricorda Giacomo Zaza nel testo critico – si concentra sulla lotta contro i crimini avvenuti durante la guerra civile (1960-1996), ma anche sulla violenza che permane oggi in tanti paesi del mondo: “Il suo corpo diviene il sostituto metaforico dei corpi delle donne vittime di ogni forma di violazione dei diritti umani, membrana sulla quale si mostrano tangibili gli effetti della violenza per mano delle strutture di potere. Più in generale diventa veicolo di denuncia della violenza connessa agli stermini, ai genocidi, alla tortura, così come al colonialismo. […] Portando con sé gli orrori e il dramma del popolo guatemalteco, vittima di orrori e soprusi, l’artista intende muovere una discussione più ampia intorno all’immaginario sociale e ai miti autoctoni, all’Altro come germe di ricchezza e non come minaccia”.
A Novoli, in una poetica e magnetica azione performativa, svolta in un podere rurale alla periferia cittadina, Regina José Galindo, scrive ancora il curatore, muove dalla visione tradizionale del falò inteso sia come atto di purificazione sia come anticorpo contro le malignità e le negatività e “Guarda alla fede religiosa in virtù delle sue potenzialità rivoluzionarie, mettendo da parte il versante ‘dogmatico’ e controriformista (il cui apice è stato toccato durante il Medioevo e l’Età moderna). Si sofferma sulla forza emancipatrice del falò. Inoltre vede nella forma conica di fascine una dichiarazione forte e presente che diventa il ‘segno’ di una protezione contro i soprusi alle donne che ancor oggi sono perseguitate con false accuse, dove soltanto il dubbio e il sospetto legittimano la loro condanna.”
L’intera azione, intitolata “Corpo Nuovo”, consiste nella costruzione collettiva, realizzata in collaborazione con gli abitanti di Novoli, di un abito-architettura “difensivo” fatto di fascine di tralci di vite poste intorno al corpo dell’artista, che diviene metafora vivente delle fiamme che combattono le persecuzioni (specie quelle contro le donne) e i pregiudizi etici e morali, del rogo magico delle antiche credenze agrarie e dei culti pagani della fertilità, del fuoco sacro purificatore da ogni peccato di eresia e stregoneria …
Un piccolo corteo di donne e uomini ricopre lentamente di fascine l’artista posta su un alto basamento piramidale (in tufi e terra, alto oltre 3 metri). Vestita solo da una candida tunica bianca (inadatta al rigore invernale), Galindo resta immobile legata ad un palo ligneo eretto al centro della rudimentale e precaria architettura mediterranea.
La costruzione di fascine attorno al corpo ricrea la pira ieratica simile a quella più imponente della Fòcara, mentre il corpo dell’artista diviene, in tal modo, s-oggetto simbolico dai connotati ancestrali, allusione rituale e sacrificale all’energia vitale del fuoco che tutto brucia e tutto purifica (Mostra nel Palazzo Baronale del Comune Novoli, a cura di Giacomo Zaza, fotografie di Annamaria La Mastra).

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