Luigi Spina - L’Ora incerta di Roma. O della Fotografia

Luigi Spina - L’Ora incerta di Roma. O della Fotografia
di Giovanni Fiorentino
Ogni ora, per dieci parti che sono anche dieci ore, si può attraversare fotograficamente il tempo. Quello ciclico che permea e disegna le rovine del Palatino, a due millenni dall’impero di Augusto. La Casa delle Vestali o quella dei Grifi, il Tempio di Saturno, di Vespasiano, di Venere e Roma, di Antonino e Faustina,l’Arco di Tito o di Settimio Severo, le terme, il Foro Romano, lo stadio, la Basilica Aemilia. Lo sguardo abita nuovamente quella zona mitica di Roma che è disegnata dai frammenti urbani e architettonici sopravvissuti ai secoli che si inscrive tra piazza Venezia e il Circo Massimo, tra il Campidoglio e il Colosseo.
Lo spettatore si immerge nelle pagine del libro e sfoglia il tempo catturato in immagine come è possibile solo per la fotografia, facendolo artificialmente a fette, in definitiva riabitandolo artificialmente.
La plasticità dei resti degli edifici quasi contraddice la bidimensionalità del medium fotografico, lo sguardo si muove virtualmente tra gli spazi, i volumi e le poche ombre fantasmatiche delle Vestali di pietra che evocano i sogni del fotografo. Per ogni ora e ogni sezione del libro, c’è l’impronta fluida e luminosa del tempo stampata in immagine su carta: colore, ombra, luce in grado di rianimare la pietra, le lastre di basalto, il marmo, i laterizi, il travertino.
La fotografia dell’Ora incerta – attraverso il colore, protagonista dalla prima ora alla nona, poi attraverso il bianco e nero della decima ora – è allo stesso tempo oggetto di osservazione e conoscenza, ma anche medium per l’osservazione e la conoscenza.
Luigi Spina progettualmente osserva a un tempo il mezzo e lo spazio, segue il ritmo della trasformazione della luce che incede sulle rovine secondo una sua liturgia laica delle ore, dall’alba al tramonto.
Spina, con i suoi occhi macchina – a turno, una fotocamera digitale per il colore e un banco ottico per il bianco e nero – ha trascorso sessanta giorni nell’Area Archeologica Centrale, muovendosi lungo la Via Sacra, tra il Campidoglio e il Colosseo.
In una sorta di immersione totale: ogni giorno, dall’alba al tramonto, attendendo il momento e la luce propizi. La sua concezione della fotografia implica una conoscenza profonda del soggetto da restituire, un vivere con i resti delle costruzioni architettoniche, riabitare con l’occhio artificiale la storia e la testimonianza del mondo classico. L’occhio di Spina, in silenzio e in attesa, ha selezionato circa 250 scatti, assecondando la costruzione di un racconto mutevole, influenzato dall’incedere e trasformarsi della luce, in modo inedito. Seguendo un’attitudine disciplinata e rigorosa, sembra muoversi come i fotografi della grande scuola tedesca contemporanea, sulla scorta di Bernd e Hilla Becher. Nelle prime ore di luce Spina guarda e ascolta, nel vuoto della grande area dove rimane molto poco di templi e basiliche pubbliche, per visualizzare e ricercare immagini distanti da un pezzo di città che continua ad esistere soprattutto nell’immaginario collettivo, a sua volta distante dal reale, proponendo un confronto per alcuni versi esagerato, duro.
Rispetto al peso delle icone forti e alla narrazione mediale contemporanea, il fotografo si affida alla mediazione e alla straordinaria variazione del silenzio e della luce, elemento vitale. “Sempre le stesse distanze, sempre gli stessi ruderi, sempre le stesse giornate. Ho capito che potevo seguire il trascorrere delle ore. La luce, durante le 24 ore, illumina e dona spessore, profondità e colore a questi spazi divenuti lo stereotipo del monumento e del folclore del turismo di massa”, racconta Luigi Spina. L’occhio del fotografo si mescola alla folla, flaneuristicamente, come il pittore della vita moderna di Baudelaire, si annulla e sparisce. Fino a comprendere dall’incertezza del procedere, di non poter pianificare nulla, di dover raccogliere l’istante mutevole e la dinamica del mondo classico. Spina, come i fotografi delle origini costretti dai vincoli tecnologici, effettua una ricognizione luminosa del tempo: la Domus Augustana alle 7 del mattino, il Tempio di Antonino e Faustina alle 5 del pomeriggio, la Basilica Aemilia alle 3 del pomeriggio, al Tempio dei Càstori a mezzogiorno.
 L’Ora incerta concede tutte le possibilità di liberare lo sguardo sui volumi e attraverso le atmosfere, di poter visualizzare senza condizionamenti ed incertezze. Quando la fotografia vive una stagione nuova delle moltitudini, quella dei videofonini e degli smartphone, lo scatto di Spina rappresenta l’esserci e il fare, è materializzazione di uno sguardo autoriflessivo e riabitante, una sorta di cartografia interiore modulata dalla luce, un flaneur che da viaggiatore guarda riflessivamente e sente e racconta se stesso in un luogo. L’ora incerta tesse in intensità dei rimandi connessioni diacroniche
e sincroniche, insediandosi e riflettendo le radici dell’Occidente.
Dal libro “L’Ora Incerta” di Luigi Spina, Electaphoto - testo di Giovanni Fiorentino.