L’Atlantide di Makim Kantor

A cura di: Michele De luca

L’Atlantide di Makim Kantor

Dopo la mostra alla Fondazione delle Stelline di Milano, Maxim Kantor (Mosca, 1957) approda in Laguna nel pieno fervore della Biennale. “Un quadro – ha scritto in un suo romanzo - è tanto più pregiato quanto maggiori sono stati gli sforzi e la pazienza che gli ha dedicato il pittore. 


L’artista russo in una interessante mostra al Palazzo Zenobio di Venezia

 Dopo la mostra alla Fondazione delle Stelline di Milano, Maxim Kantor (Mosca, 1957) approda in Laguna nel pieno fervore della Biennale. “Un quadro – ha scritto in un suo romanzo - è tanto più pregiato quanto maggiori sono stati gli sforzi e la pazienza che gli ha dedicato il pittore. Quell’ultima, liberatoria pennellata è possibile soltanto se prima ce ne sono state tante altre inutili e imprecise. L’esperienza del pittore è fatta di sconfitte quotidiane. Bisogna togliere il superfluo e lasciare solo il necessario”. Sono parole che suonano come una suggestiva e saggia lezione di metodo di lavoro, ma anche – si usa dire oggi – di “filosofia della vita”. Una eccezionale mostra intitolata “Atlantis”, allestita nello splendido Palazzo Zenobio a Venezia, sede del Collegio Armeno Moorat Raphael (si può approfittare per visitare al primo piano la Sala degli Specchi, vero gioiello dell’arte decorativa e pittorica del Settecento veneziano), presenta (dal 1° giugno al 15 settembre) l’opera di questo straordinario artista il quale, nel suo intenso lavoro ripropone la storia del XX secolo fino ai nostri giorni, con particolare attenzione agli eventi legati alla Rivoluzione Russa e alla Prima Guerra Mondiale. I soggetti delle sue incisioni sono i grandi protagonisti della storia, di cui ne fa un’implacabile e severa critica, oltre che oggetto di una sottile quanto sferzante ironia,  mostrando invece compassione e forte partecipazione per le vittime e per i “vinti”. I disegni satirici di questo grande ciclo, scrive Enzo Di Martino nel catalogo (in cui figurano testi anche dello stesso Kantor, di Alexandr Borovsky e Cristina Barbano), “configurano infatti una sorta di terribile diario visivo espresso con un efficace disegno che appare duro e tagliente, in grado di colpire al cuore il problema affrontato. Si tratta infatti di un affresco feroce e devastante dei mali della società e dell’umanità, espresso nei modi formali che lo stesso Kantor ha definito quelli del linguaggio della resistenza”
L’opera emblematiuca e “centrale” tra quelle in mostra è Atlantide che si inabissa nell’oceano, come racconta Platone. Il cuore, infatti, di questa esposizione, a cui  fa da cornice un nucleo di opere rappresentavi dell’intera attività pittorica di Kantor (1980-2012), è il portfolio “Vulcanus. Atlas”, realizzato nel 2010, che offre – come ha scritto Vittorio Hösle – “addirittura una filosofia della storia del XX secolo”. In questo ciclo, motivi dell’antica iconografia russa sono combinati con elementi da cartellonistica di propaganda, registrando la morte di Lenin e di Stalin, l’assassinio di Trozky, la nascita dei nuovi assetti mondiali nel 1945 e nel 1991 con le conseguenti trasformazioni sociali. Offrendo, come aggiunge Hösle, “una visione dell’Europa come di un animale ferito che non vuole morire”, e lanciando così “una sfida amara all’ufficiale euro-ottimismo”.
Raffinato pittore, ,ma anche incisore e appassionato scrittore, Maxim è il figlio dell’intellettuale e filosofo Karl Kantor, con il quale ha sempre avuto un profondo rapporto di vicinanza e di confronto.  L’elemento principale delle sue opere sono le persone. I loro volti, i loro corpi e, naturalmente, le loro anime; ha dipinto un numero strepitoso di ritratti, a cominciare da quelli dei genitori, e molti autoritratti, segnando così le tappe intrecciate della propria arte e della sua profonda riflessione storico-filosofica. Dopodiché incomincia a dipingere sia gruppo piccoli (come in alcune Mense) che gruppi molto affollati (una disciplinata colonna di prigionieri, i personaggi in un piccolo mercato recintato da assi di legno come fosse un luogo di detenzione); la caratteristica di questi “gruppi” è sottolineata dal titolo di una delle sue opere più note, Folla solitaria, del 1992, in cui, come fa notare la Barbano, “le persone sono insieme, ma sono sole come in una foresta sono gli alberi a cui esse, alte e ossute, tanto assomigliano”.  
La sua intensa e appassionante produzione artistica viene – da lui stesso – divisa in tre periodi principali: il “Periodo Rosso” (Periodo Sovietico, 1980 - fine anni Novanta), caratterizzato da dipinti che rappresentano case, prigioni, lager, ospedali, metropolitane, ma anche e soprattutto uomini che, pur oppressi da un regime disumanizzante, conservano “umanità” nel senso più ampio e più profondo del termine; lo stile di quegli anni, definito di “resistenza”, è spesso particolarmente crudo. Segue, nel successivo decennio, la fase denominata “Il Nuovo Impero”: la caduta del comunismo, alla fine degli anni Ottanta, rappresenta per Kantor la possibilità di viaggiare per il mondo, di abitare in altre città come Berlino, Londra, Parigi. Inizia qui un’epoca di grandi speranze, caratterizzata anche dalla perdita di orientamento. La Russia crolla, ma anche l’Europa attraversa una profonda crisi. L’opera riassuntiva di questi dieci anni è il portfolio di litografie “Metropolis”. Negli ultimi anni, dal 2008 ad oggi, la consapevolezza della fine di un certo “ciclo storico”, non solo in Russia, è diventata evidente: il mondo è entrato in una crisi profonda, non solo politica, ma anche intellettuale. Il compendio del lavoro di questo periodo (da lui chiamato “Atlandide”) si ritrova nell’ultimo portfolio grafico “Vulcanus”, dove Kantor si ritrae nella prima incisione con il titolo “Autoritratto tra Lenin e Putin” (2010). Kantor critica i protagonisti della recente storia europea con implacabile severità e, ancora, mostra amore e compassione per le vittime della storia e considerazione per l’istituzione che considera alla base della struttura sociale, e cioè la famiglia. In una visione dell’arte che non si limiti a rispecchiare, ma – come diceva Marx - a trasformare la realtà.

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