Le interviste: Rendez-Vous con Lina Passalacqua

Lina Passalacqua, artista attiva dai primi anni ‘60, mi apre le porte della sua casa-studio romana. A primo impatto quello che attira la mia attenzione è la strutturazione interna della casa, fatta di muri segmentati, mossi, lungi dall’essere diritti e composti pieni di sue opere conservate alla pari di un museo.
La cordialità è palpabile e per me, che per la prima volta mi trovo a tu per tu con un’artista finora conosciuta solo sui libri, rappresenta la possibilità di superare l’emozione.

di Daria Ulissi
 
Lina Passalacqua, artista attiva dai primi anni ‘60, mi apre le porte della sua casa-studio romana. A primo impatto quello che attira la mia attenzione è la strutturazione interna della casa, fatta di muri segmentati, mossi, lungi dall’essere diritti e composti pieni di sue opere conservate alla pari di un museo.
La cordialità è palpabile e per me, che per la prima volta mi trovo a tu per tu con un’artista finora conosciuta solo sui libri, rappresenta la possibilità di superare l’emozione. Ci sediamo e prima di tutto Lina ci tiene a ricordarmi che la sua prossima mostra verrà inaugurata il 7 giugno  alle ore 18.30 alla Biblioteca Casanatense, manifestazione inserita nell’ambito delle celebrazioni per il Centocinquantennale dell’Unità d’Italia. In mostra saranno esposti cinquanta dei cento “disegni-pittura” realizzati in un arco di tempo che va dal 1960 al 1990. Sono lavori molto particolari, in cui i corpi, la natura, le macchine e gli ingranaggi stanno a raccontare quarant’anni di storia dell’artista. Già esposti in numerose rassegne, mostre personali e anche al Liceo Artistico di Via di Ripetta nel 2009, durante la celebrazione del centenario futurista. Proprio da questi parto per rompere il ghiaccio e cominciare l’intervista...
 
Queste opere, che racchiudono emblematicamente il senso di tutta la sua complessa ricerca, con quale tecnica sono realizzate?
I miei flash sono dei riporti fotografici che ho imparato da Andy Warhol, quindi legati alla Pop Art e risalenti agli Anni ’60. Erano tecniche nuove che mi attraevano molto. Dai giornali prendevo l’immagine che più mi piaceva e sfregando la parte posteriore della stampa con la trielina, la riportavo sul supporto. Io la adoperavo non come immagine fine a se stessa, come facevano Mimmo Rotella e Antoi, ma mi serviva per dipingerci sopra con acquarelli e tempere fino agli Anni ’70 e poi con le matite colorate, più leggere e ariose. I riporti risultanti erano l’equivalente di un disegno preparatorio.
Questa produzione continua? È ancora viva la voglia di creare i flash?
Purtroppo no. Non perché non abbia voglia, anzi mi piacerebbe andare avanti. Ma purtroppo dagli Anni ’90, anni in cui la mia produzione si ferma, la stampa è cambiata. È in digitale e le immagini non sono più trasferibili. L’unico aspetto positivo è che nessuno potrà mai realizzare un falso Passalacqua a meno che non si procuri un giornale dell’epoca! (ride)
Come è nato il progetto di esporre proprio nell’ambito delle celebrazioni dell’Unità d’Italia?
La cosa è curiosa. Nel ’61 quando ho iniziato a dipingere lasciando definitivamente il teatro, l’ultimo spettacolo a cui presi parte come prima donna fu ‘Il Tessitore’ al Carignano di Torino. Uno spettacolo che omaggiava Cavour e i Cento Anni dell’Unità d’Italia...come vedi sono legata intimamente a questo evento. Non solo. Quest’anno la Casa del Cinema, diretta dalla D’Amico, ha organizzato una serie di proiezioni di film e filmati televisivi per omaggiare il centocinquantennale. Tra tutti i filmati che ho visto è stato proiettato un film di mio fratello Pino intitolato ‘Mazzini’ del ’70, credo, che avevo completamento dimenticato. Per me è stata un’emozione fortissima: lui nel cinema e io in pittura, abbiamo celebrato i 150 anni dell’Unità d’Italia.
 
Suo fratello è stato un grande regista e sul suo sito, peraltro realizzato molto bene, c’è un filmato diretto da lui dove lei si racconta. Com’è nata questa idea?
È stato un progetto di collaborazione tra mio fratello e TeleRomaCine. Voleva farmi raccontare in maniera nuova e insolita. Mi disse: -Te la senti di raccontarti in prima persona visto che tu hai fatto l’attrice?- Io accettai con qualche paura perché era molto tempo che non recitavo più...Sono io che mi racconto, sono io che faccio il mio autoritratto, anziché con i pennelli lo faccio con le parole e con le immagini. Attraverso le sequenze dei miei quadri viene fuori tutta la mia vita.
All’inizio della sua carriera recitava poi si è dedicata interamente alla pittura. Com’è avvenuto questo passaggio?
Io da sempre avrei voluto fare la pittrice invece i miei genitori non vollero farmi iscrivere al Liceo Artistico. Io però continuavo a disegnare...pensa che i miei primi soldi li guadagnai proprio vendendo una riproduzione di una Madonna del Lippi.
Con mio fratello, intanto, facevo molti spettacoli teatrali al Borsa di Arlecchino di Genova, il teatro dell’Università, chiaramente con spettacoli nuovi e d’avanguardia. Poi un giorno accompagnai una mia amica per fare un’audizione a Milano e in quell’occasione conobbi Fantasio Piccoli, il direttore del Piccolo Teatro di Bolzano che mi fece recitare un pezzo che nemmeno mi ricordo. Mi disse: - Mi lasci il suo indirizzo, le farò sapere. - Due giorni dopo arrivò un telegramma con la notizia di una scrittura per lo stabile di Bolzano. Feci le valigie, me ne andai di casa e iniziai a recitare come prima donna da subito. Però la mia passione per l’arte non si affievolì mai, tant’è che mentre i miei colleghi la mattina dormivano io andavo in giro per musei a disegnare i grandi Maestri. Poi quando venni a Roma attraverso un mio amico conobbi Carlo Alberto Petrucci, uno dei più grandi incisori italiani e accademico di San Luca, che visti tutti i miei disegni decise di darmi delle lezioni gratis. Aveva le qualità pittoriche dei grandi artisti e quello che ho imparato da lui non lo insegna più nessuno. Dopo questo periodo di crescita artistica lasciai il teatro e mi dedicai interamente alla pittura. Presi ad abitare a Roma con mio fratello in una soffitta, una casa-studio anche quella.
Una vita dedicata solo all’arte?
Diciamo di si anche se non è che con la pittura guadagnassi tanto da poterci vivere. Così presi il Diploma dell’Istituto d’Arte e poi l’abilitazione da insegnante. Sono andata ad insegnare a Jesi perché volevo assolutamente studiare Lorenzo Lotto.
Quindi Lotto è il suo pittore preferito?
Sono due i miei pittori preferiti: Lotto per la qualità pittorica e Boccioni per il dinamismo e la simultaneità. Da subito ho cominciato a pormi il problema dello spazio della nostra epoca e ho capito che l’unico movimento italiano che è diventato internazionale, il più importante che abbiamo avuto e che abbiamo tutt’oggi è il futurismo, anche se non è stato capito, anche se è stato osteggiato perché era un movimento fascista... comunque è l’unico movimento in grado di descrivere lo spazio. Ed è allora che ho cominciato a realizzare i miei cosiddetti Frammenti, perché noi viviamo in un epoca completamente frammentaria, tutta a pezzetti, una società basata sulla fretta dove si produce, si digerisce e si consuma, dove le immagini si susseguono in continuazione ma che rischiano però di farci perdere la memoria non solo storica ma anche morale. Questo è il messaggio dei miei flash.
Guardando i suoi lavori si nota una grande differenza tra quelli statici, fissati sulla tela ed altri invece più vorticosi, che sembrano muoversi. È stato difficile questo passaggio?
All’inizio ero molto legata al primo futurismo, quello geometrico, metallico. Poi mi sono liberata da questa geometria negli anni approdando ad uno stile più vorticoso. Mi ci sono voluti anni e ammetto che avevo anche molta paura: andare nello spazio e liberarti su tele di grandi dimensioni non è uno scherzo!
Tra i suoi lavori vengono elencati arazzi e sculture in legno. Perché questa scelta?
Premetto che di sculture in legno ne ho fatte pochissime perché costavano molto e chiaramente mi erano state commissionate. Mi piaceva riproporre un quadro anche su legno ispirata dai lavori di Mario Ceroli. Mi sono sempre piaciuti gli oggetti: quindi il legno diventa quadro e allo stesso la moquette che in certi casi diveniva un arazzo. Mi riferisco alla ‘A Pezzara’ il cui nome è stato coniato da Otello Profazio, un cantastorie siciliano definendola appunto pezzara: un collage di pezze colorate.
Premesso che la realizzazione di un’opera è sempre il risultato di un lavoro complesso, è più soddisfatta quando realizza un quadro, un arazzo, un oggetto in legno o quando fa ritratti?
I ritratti sono molto faticosi perché devi entrare nel personaggio. Li realizzo dal vivo non da fotografia e in molti mi dicono che vedo quello i miei soggetti hanno dentro. Invece quando dipingi vai a ruota libera, non c’è niente che ti costringe perché sei tu che domini tutto, anche se io faccio sempre il disegno preparatorio, perché voglio che la tela abbia una pulizia e una perfezione da tela rinascimentale: ne una pennellata in più ne una in meno.
Per concludere, un ultima domanda. Cosa ne pensa della prossima Biennale?
Sono molto amareggiata. Aver delegato alle Regioni attraverso critici e intellettuali di segnalare un artista è stata una mossa anti-Biennale. Far entrare amici di amici, raccomandati senza un reale progetto alle spalle va contro la Biennale stessa. Vengono meno i principi della rassegna e per dirla con Marco Vallora sono opere votate “da chissà quale crimino-intellettuale”. Per di più la pittura è in minima parte. I vari Cattelan sono entrati in questo sistema. Come c’è lui, però, ci deve essere anche Ennio Calabria… non si può imporre al mondo solo Cattelan, devi imporre anche un Ennio Calabria, un grande pittore. Ma purtroppo è oramai un Cattelan- sistema!
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