GIUSEPPE UNCINI Una nuova concezione dello spazio e della materia

 
Giuseppe Uncini artista fabrianese, già scoperto da Edgardo Mannucci esemplare scultore suo conterraneo, si reca a Roma sin dal ‘53,venendo a contatto con i fermenti artistici che qui trovano i primi sviluppi, da Schifano a Festa e dagli anni sessanta insieme a Castellani, Lo Savio e Manzoni imprime un senso nuovo all’idea di arte e ad una nuova determinazione di scultura.


di Maurizio Cesarini
 
Giuseppe Uncini artista fabrianese, già scoperto da Edgardo Mannucci esemplare scultore suo conterraneo, si reca a Roma sin dal ‘53,venendo a contatto con i fermenti artistici che qui trovano i primi sviluppi, da Schifano a Festa e dagli anni sessanta insieme a Castellani, Lo Savio e Manzoni imprime un senso nuovo all’idea di arte e ad una nuova determinazione di scultura.
Egli sin dai Cementi armatiattua una precisa operazione in sensosemiotico; le strutture si danno in sé senza alcun altro riferimento che la propria esseità materiale e strutturale, ma al tempo stesso pur suggerendo una contiguità con l’assetto denotativo della Minimal art, possiedono una propria autonomia linguistica formale e teorica.
Difatti il problema non è, per dirla con Sartre, dell’essere in sé, quanto del definire il senso di una nuova concezione dello spazio e della materia.
Per questo il lavoro di Uncini non implode all’interno della volumetria che definisce l’assetto visuale delle esperienze Minimal, ma suggerisce pur nella rigorosa compattezza dei volumi, una sottotraccia di natura poetica di efficace modalità estetica.
L’assetto delle strutture di Uncini possiede tuttavia una possibilità fenomenica nel senso strettamente connesso al vocabolo greco, ossia esse sono una sorta di apparizioni, quasi luoghi ove la dichiarazione denotativa dei materiali contiene anche implicitamente l’assetto connotativo che ne esemplifica il significato.
Sono strutture quelle di Uncini che pur rimandando ad una ambito costruttivo di tipo quasi edilizio, tuttavia mantengono una ambiguità evocativa che sposta il senso del materiale in sé alla forma della sua ostensione, suggerendo decisamente il pensiero dell’autore.
Inoltre la tradizione figurale italiana intride fortemente il suo lavoro: non è un caso infatti che l’organizzazione spaziale dei cementi, strutturata attorno alla materia che si fa quasi forma di quadro, definita da interpunzioni di ferri, con la valenza sia di strutture tipicizzanti del cemento armato, che di grafemi metallici che ridefiniscono lo spazio dell’opera.
Inoltre le indicazioni dello stesso artista alludono ad una sorta di sensualità dei materiali, non scevra da una sensibilità chiaroscurale e tonale, laddove egli afferma “Il mattone serve a indicare il volume positivo mentre il cemento quello negativo dell’ombra, il caldo bruno del primo gioca in contrasto cromatico col grigio spento del
secondo… “.
La stessa struttura prospettica assume un senso preciso nella tridimensionalità, che suggerisce una visualità privilegiata dell’opera, affinché la sua fruizione si ponga all’atto del vedere in una percezione congruente.
In questo senso anche le ombre assumono valenza di materia riportata, più che il valore di una consequenzialità luministica e mostrano un sapore visivo che le avvicina alle ombre tipiche di certa metafisica.
Così le ombre che troviamo in elementi architettonici come Arco, Pilastro, Porta, segnano nella loro determinazione plastica l’assetto visivo dell’opera, ma allo stesso tempo vista la tridimensionalità costruttiva che li caratterizza, pongono anche il problema dello spazio virtuale e quello reale.
In quanto elementi architettonici possiedono ombre riportate che si materializzano attraverso la materia costitutiva dell’opera stessa, ed essendo per loro natura aggettanti producono naturalmente ombre sulla parete alla quale sono appoggiati, determinando una ambiguità visiva tra la realtà del progetto e quella del reale.
Ma una valenza che non va elusa è l’assetto dichiaratamente architettonico del lavoro di Uncini, poiché l’artista assume oltre che nei materiali evidentemente muratoriali quali mattoni, ferro, cemento, anche una prassi costruttiva di stampo quasi edilizio.
In questo senso l’opera dialoga con lo spazio circostante, lo invade, ne stabilisce l’assetto percettivo anche da un punto di vista ambientale e spaziale.
Che la questione dello spazio sia una componente significativa nel lavoro di Uncini, lo testimonia la serie intitolata Spazi di ferro, dove tornano i materiali dei suoi inizi come il cemento ed il ferro, ma strutturati secondo una ben diversa articolazione.
In questo caso i tondini di metallo suggeriscono quasi una costituzionalità disegnativa, ponendosi come grafie materiali a riempire, designare e disegnare gli spazi dell’ opera stessa.
L’intersecarsi delle linee ferrose rideterminano la struttura spaziale creando una sorta di campo di forza visivo sia di natura costruttivo-strutturale, che grafica ed energetica, a individuare una fitta rete di linee che conformano, determinano e suggeriscono l’assetto plastico e formale dell’opera stessa.
Questa ricerca appare anche nei disegni che lungi dall’essere solamente frutto di una forma progettuale, si articolano anche su modalità decisamente più espressive.
Così gli schizzi, gli appunti visivi istantanei, il collage, il disegno più dichiaratamente progettuale, si pongono come modalità di un processo creativo che presuppone sia una prassi operativa, che una valenza espressiva dichiaratamente autonoma.
In definitiva il disegno rappresenta  una pratica che all’interno della ricerca artistica di Uncini ha finito per assumere un grande valore.