L'UTOPIA DELL'AVANGUARDIA TOTALE: L'ITALIA E IL FUTURISMO

articolo di Loredana Rea.

Nei primi anni del secolo scorso l’Italia si apre lentamente all’industrializzazione e la fede nel progresso, che altrove svela già gli inganni e le disillusioni, nutre confusamente l’idea di un inevitabile conseguimento del bene comune.
Milano e poi Torino e Genova sono i centri di questa illusoria rinascita economica, tardiva rispetto al resto d’Europa: si sviluppano le industrie, le ciminiere circondano vigili, ma minacciose il centro abitato, i tram attraversano veloci la città, le automobili si muovono con sempre maggior sicurezza lungo le strade e la luce elettrica sostituisce i lampioni a gas.
Il nuovo avanza. Il futuro è già presente.
Scienza e tecnologia inscindibilmente unite lasciano immaginare gli sviluppi e le futuribili trasformazioni della società e dell’ambiente, mentre l’automobile, il cinema e l’aeroplano diventano l’emblema dei tempi moderni e dell’inarrestabile progresso.
In questo clima di generale e superficiale ottimismo, tanto superficiale da non permettere di cogliere i semi di un malessere più profondo, che sfocia incontenibile nelle drammatiche proteste degli operai, affonda le radici il movimento futurista.
Il mito della modernità, del progresso scientifico e tecnologico e l’aspirazione verso un concreto e immediato rinnovamento delle strutture sociali si materializzano con il Futurismo nell’antitesi ricercatamente violenta verso la cultura ufficiale, rappresentata dal verismo umanitaristico e dall’esangue dandismo dannunziano, lontani entrambi dall’essere lo specchio dei tempi nuovi.
La febbrile ed entusiastica protesta contro il passatismo culturale dell’Italia umbertina, che trova voce nel ritmo sincopato del Manifesto futurista, redatto da Filippo Tommaso Marinetti e pubblicato su Le Figaro il 20 febbraio del 1909 ( in realtà preceduto dalla divulgazione tra le pagine di alcuni giornali italiani: il 5 febbraio La Gazzetta dell’Emilia, il 6 Il Pungolo, il 9 La Gazzetta di Mantova, il 9-10 L’Arena, il 10 Il Piccolo, il 14 La Tavola Rotonda, il 16 Il Giorno), intende minare alle radici la mentalità conservatrice che impedisce la definitiva affermazione del nuovo, che non permette la trasformazione totale della società e il superamento dei suoi falsi miti e dei suoi ingannevoli riti.
Fin da principio la connotazione oltranzista del Futurismo, che si inserisce a pieno titolo in un più vasto movimento avanguardista, nato inevitabilmente dalla cultura fin de siècle, si comprende solo se strettamente connessa alla situazione culturale italiana. Una situazione particolare che non aveva alle spalle una tradizione moderna per quanto riguarda il pensiero artistico e anche il suo linguaggio.
Solo se riconnessa alla società italiana, ai suoi ideali borghesi e provinciali di ordine e pacifico benessere è comprensibile la teatrale ed esaltata protesta contro l’immobilismo e l’archeologismo culturale, condotta fino alla provocatoria volontà distruttiva convogliata contro i musei e tutto ciò che rappresenta la stereotipata bellezza dell’Italia del grand tour. La polemica aggressività futurista, infatti, si scaglia con sacrilega spregiudicatezza contro la pseudo-cultura che si nutre della retorica romantica, inconciliabile con lo spirito di una società nuova. Ma le implicazioni filosofiche e scientifiche, che direttamente o indirettamente permeano il Futurismo, hanno la loro origine nel vasto e variegato movimento di idee che tra il 1890 e i primi anni del XX secolo travolge il sistema del positivismo. Nitzsche, Bergson, Freud, Sorel, Plank, Einstein e de Broglie contribuiscono tutti a far crollare le certezze positiviste: cadono le tradizionali concezioni di spazio e di tempo, l’irrazionale prorompe e fa vacillare l’assolutezza della ragione, l’oscurità dell’inconscio inquieta lasciando intravedere nuovi orizzonti, la violenza eroica e rivoluzionaria delle rivendicazioni socialiste fanno sperare nell’avvento di un mondo nuovo e giusto.
Il pensiero che Marinetti raccoglie nel suo manifesto, e che solo in seguito un gruppo di giovani artisti: Boccioni, Carrà, Russolo, Severini e Balla cristallizza in opere, scritti e nuovi manifesti, è la summa di idee tutt’altro che provinciali e per nulla avulse dal contesto europeo dell’ideologia avanguardista. Sul piano linguistico, però, la vera novità è la perentoria e radicale affermazione di queste idee e il loro inserimento nel quadro di un’avanguardia totale, che attraverso l’arte aspira a trasformare la vita, come espresso nel Manifesto della ricostruzione futurista dell’universo, pubblicato nel marzo del 1915 e firmato da Giacomo Balla e Fortunato Depero, in cui si materializza spettacolarmente l’idea totalizzante e inevitabilmente utopica della rifondazione di un mondo regolato da principi completamente differenti.
Anche l’esaltazione della velocità non può non essere letta che come parte integrante di un più ampio sistema propositivo e di valori nuovi, cui non è estranea la formulazione dell’élan vital di Bergson. Partendo dal pensiero del filosofo francese la ricerca artistica del futurismo si appropri, infatti, della rappresentazione mobile della realtà, per isolarne i momenti estetici e poetici: non la cosa che si muove, ma la struttura del movimento e i mutamenti anche fisici che esso comporta.
La velocità diventa, allora, emblematica espressione di una modernità che si fa mito: l’automobile, il treno, l’aeroplano, la motocicletta. Le distanze fisiche sono letteralmente bruciate aprendo nuove prospettive di interrelazione, ma anche di valenza psichica e mentale. Strettamente connesso alla velocità è il tema della simultaneità: contemporanea percezione del vicino e del lontano, del presente e del passato, del movimento fisico e psichico, che si materializza visivamente in una continua e serrata interrelazione di diversi piani geometrici, memore della scompaginante sintassi cubista, ma anche in un’affascinante mescolanza di onomatopee, rumori e parole spesso decontestualizzate, le parole in libertà.
È facile capire quale eco possono aver avuto nell’Italietta dei primi anni del secolo le provocazioni futuriste e quanto clamore, ed anche come partire dal 1909 hanno potuto sconvolgere la cultura italiana. Nei tre decenni di attività del movimento futurista, a partire dal primo manifesto, fino alla morte del suo indiscusso leader e infaticabile animatore, Filippo Tommaso Marinetti, avvenuta alla fine del 1944, i temi più ricorrenti nell’immaginario di quegli anni: dalla velocità alla città, dalla guerra all’uomo nuovo, al di là delle differenti formulazioni individuali, rappresentano gli imprescindibili punti di un’evoluzione che a trecentosessanta gradi investe la vita nella pretesa di un totale rinnovamento. Dalla pittura alla scultura, dalla letteratura al teatro, dalla musica alla danza, dall’architettura al design, dalla politica al costume, nel desiderio di un’utopistica ricostruzione estetica della società il Futurismo ha lasciato le proprie tracce indelebili in quell’Italia che si riaffacciava piena di speranze alla ribalta internazionale. 

Loredana Rea

(Pubblicato: Quimagazine Marzo 2009)