FRANCO FOSSA. La figura e i suoi luoghi di Maria Vinella

FRANCO FOSSA. La figura e i suoi luoghi di Maria Vinella
Palazzo Leone da Perego di Legnano ospita la significativa mostra “Franco Fossa. La figura e i suoi luoghi”, a cura dell’Associazione Franco Fossa, con Emma Zanella. L’esposizione presenta più di cinquanta opere (sculture in gesso, cera, legno, bronzo e disegni a pastello) realizzate da uno dei più importanti autori del secondo dopoguerra italiano (Fossa era nato a Milano nel 1924 ed è morto nel 2010), lungo il corso della seconda metà del Novecento, opere capaci di rivelare un energico linguaggio plastico, a volte fortemente espressionista.
Come spiega in catalogo Massimo Bignardi, l’artista milanese ha segnato il panorama dell’arte del XX secolo, inserendosi a pieno titolo nel filone del Realismo Esistenziale, nella Milano della seconda metà degli anni Cinquanta. “La mostra si apre proprio con alcune opere del giovane Fossa come Bambini (1954), Donna con gatto (1952), Uccello (1950), realizzate nei primi anni Cinquanta, appena trasferitosi a Milano, città impegnata a ricostruire se stessa, anche culturalmente, dopo gli orrori della guerra; una città al centro del dibattito artistico italiano, ricca di stimoli, di occasioni di incontro, di riviste, di mostre. Proprio la scena artistica milanese contribuirà inequivocabilmente sia alla formazione del suo mestiere di scultore, consentendogli di spaziare in diversi ambiti della ricerca plastica senza registrare cedimenti formali, sia all’articolazione di un linguaggio che ha le sue radici nel profondo della coscienza civica”.
Franco Fossa privilegia la strada della figurazione, classica e composta, attenta alla morbidezza della forme e alla levigatezza delle superfici – come scrive anche il curatore – ma che presto abbandona a favore della ricerca esistenziale che animerà ossessivamente ogni sua creazione, col fine di analizzare le dimensioni più dolorose dell’umanità, come la fatica di vivere, la solitudine, l’abbandono e la morte.
Tra i temi significativi dell’autore, ritroviamo quello del labirinto: finzione e limite, spazio simbolico dell’assenza, percorso iniziatico, luogo senza soluzione di continuità. Piacere del perdersi, avventura del non ritorno. Abisso e misura del complessità attuale. La visione del labirinto non è che rappresentazione, nel senso filosofico e senso teatrale del termine, dell’impossibilità. È enunciato dell’impotenza a esprimersi, dell’incapacità a disfarsi dall’oppressione di ciò che siamo. “Viviamo secondo un ritmo quotidiano, voluto o imposto, più o meno stancamente ripetitivo, con impressioni sempre diverse che inconsciamente mutano il significato del presente. Iniziare un dialogo, può portare risposte vacue, deludenti, ma rinunciarvi, rifiutare di stare profondamente assieme, è come negare d’impeto la libertà di aprirci” affermava l’artista, che nella metafora della difficoltà dell’Essere esprime l’indicibile difficoltà di una continua incomunicabilità.
Con la sua visionarietà, l’artista offre un corpo e uno spazio all’utopia del linguaggio, eppure lo spazio-evento che si fa comunicazione è per Fossa uno spazio spietato e tragico, e il corpo è inquietante e sofferto. È luogo della fuga, labirinto che costringe in spazi angusti le geometrie modulari dei segni minimi, regolari e fitti; che decostruisce le forme texturizzate, segnate dalle penombre di una profondità negata poiché schiacciata sulla superficie; che annulla la figura e rende valore al gesto, allo sguardo, al lento movimento, vagando alla ricerca di una possibile via d’uscita.
Tutto ciò è evidente nelle opere dedicate agli Animali (1960/66), alle Teste e Ritratti (1962 - 1972), alle tragiche figure sacre, che sono emblema del fluire temporale all’interno di una dimensione di solitudine. Concludono il percorso espositivo alcune opere degli ultimi decenni (1985/2005) nelle quali il tragico espressionismo è decantato da una visione più misurata e più meditata.
 
 

Categorie correlate