FAUSTO MELOTTI AL MADRE DI NAPOLI

Il Museo d’arte contemporanea Donnaregina di Napoli ospita tra dicembre e aprile la bellissima antologica di Fausto Melotti. Curata da Germano Celant e organizzata in collaborazione con l’Archivio Fausto Melotti, la mostra è dedicata all’intero arco della vita dell’artista (Rovereto 1901 - Milano 1986) e alla sua densa e variegata produzione.


 di Maria Vinella
Il Museo d’arte contemporanea Donnaregina di Napoli ospita tra dicembre e aprile la bellissima antologica di Fausto Melotti. Curata da Germano Celant e organizzata in collaborazione con l’Archivio Fausto Melotti, la mostra è dedicata all’intero arco della vita dell’artista (Rovereto 1901 - Milano 1986) e alla sua densa e variegata produzione.
Sempre pronto a trasformare l’incertezza in avventura (come sostiene Eduardo Cicelyn nel testo in catalogo), Melotti è da tempo una figura significativa nell’ambito della scultura del Novecento, accanto ai suoi contemporanei Lucio Fontana, Alexander Calder, Alberto Giacometti, Louise Bourgeois. Definiva l’arte come “metafora del mondo in bilico”, dove l’artista è “felicemente sospeso”, intento a coniugare con maestria tradizione classica e innovazione delle avanguardie europee, conoscenza scientifica e sensibilità musicale, talento scultoreo e abilità scenografica, creatività letteraria e tendenza poetica, qualità del disegno e sperimentazione della ceramica.
Il lavoro di Melotti - i suoi oggetti e le installazioni, i “teatrini” e i gessi, le ceramiche policrome e le sculture in metallo - attraversa l’informale, lo spazialismo, il concettuale, celebrando il desiderio di assoluto, di misura, di solitudine, che sono – insieme – salvezza e dannazione, figurazione e astrazione. La sua scultura trascura ogni imponenza e ogni monumentalismo per inseguire la forma caduca e fragile, il volume ironico e leggero, i gesti semplici ed emotivi, la linea fluida e mobile.
Come evidenzia il curatore, lo scultore trentino privilegia l’accadimento alla rigidità, la relazione all’assolutezza costruttiva, il rituale naturale e organico alla rappresentazione bloccata e calcolata: “La scultura per Melotti è magica e rituale, un’incarnazione nel rito della fisicità sorprendente, non è astratta ma corporea. Più che alla condizione scientifico-matematica, essa va associata al movimento e alla danza, là dove la musica è indiretta”.
Nelle sale chiare e suggestive del MADRE sono raccolte più di duecento opere: le costruzioni di piccoli spazi abitabili, con veli e tessuti, piccole figurine in terracotta, sagome di minuti oggetti; i teatrini surreali pieni solo del brusio degli sguardi muti degli spettatori; le malinconiche e assottigliate figure femminili (sconosciuti volti chiusi nei drappi ventosi o immobili kore raccolte negli abiti geometrici); i piccoli personaggi filiformi e le mitiche dee senza parola. Le esili architetture di ferro, ottone, sfere e lamine metalliche, raccontano di città invisibili e luoghi lunari, panorami scarnificati e pianeti immaginari. Le mezze lune sospese, le catene dondolanti, le reti intrecciate, le quinte oscure, le esili scale, le cime ricciolute, le garze sospese, definiscono stanze immateriali e silenziose dove può abitare solo la poesia o la musica, case per le Muse o case per “I Sette Savi”, metafisici e indefiniti, candidi e inanimati.
Ha scritto Fausto Melotti: “La rinuncia alla rappresentazione del mondo naturalistico è meno difficile della rinuncia all’amore della materia in cui si lavora. (…) L’arte non rappresenta, ma trasfigura in simboli la realtà. (…) l’arte è un viaggio. La solitudine e l’inquietudine delle memorie. (…) Anche chiusa in un programma, spinta in un rigido contrappunto, composta in una camicia di forza, l’arte esce in un’ineffabile danza. L’artista non conosce ancora la seconda parola della sua poesia, non sa se al do segue il re fra le righe o il fa sopracuto, né se l’azzurro muore o si esalta. L’arte sorride a chi ride delle cose ingiustificate.”