EMILIO ISGRÒ

A cura di: Maurizio Cesarini

EMILIO ISGRÒ  Una frase dello stesso artista appare sintomatica: “... l poeta si sa, è un esploratore di parole” e la prassi adottata da Isgrò consiste appunto nell’indagare la parola, che non si presenta più nel mondo dei mass media, come elemento eminentemente autosignificativo, ma appare spesso enfatizzata dall’accostamento con l’immagine.
 di Maurizio Cesarini
 
Una frase dello stesso artista appare sintomatica: “... l poeta si sa, è un esploratore di parole” e la prassi adottata da Isgrò consiste appunto nell’indagare la parola, che non si presenta più nel mondo dei mass media, come elemento eminentemente autosignificativo, ma appare spesso enfatizzata dall’accostamento con l’immagine.
L’assetto tipografico gutenberghiano viene quindi scardinato attraverso un sapiente uso dell’immagine e della parola, che sposta il problema del significante e del significato in un ambito non di antinomia, ma di integrazione.
Basti pensare ad un’opera del 1964 Volkswagen per comprendere come la sottigliezza operativa di Isgrò gioca sull’apparenza iconica di stampo massmediologico e l’assetto grafico che ribalta un senso apparentemente definito.
La tela emulsionata riporta una serie di immagini della famosa autovettura, a scalare, suggerendo quasi un senso prospettico, mentre sospesa sull’immagine appare la scritta Dio è un essere perfettissimo come una Volkswagen che…, ironizzando su di un mondo della comunicazione che enfatizza la merce con un valore auratico quasi sacrale.
Il lavoro fortemente analitico di Isgrò non prescinde anche da una sottile vena ironica, che evidenzia la modalità percettiva scardinandone le coordinate interpretative, come nel caso di Jacqueline, in cui risulta illuminante la stessa dichiarazione operativa dell’autore: ”Come si guardano, come si leggono le mie opere. Prendiamo Jacqueline, che è una delle cose più tipiche. In un grande campo retinato, privo di figure, una freccia nera indica un punto, un vuoto. Sotto si legge una didascalia Jacqueline (indicata dalla freccia) si china sul marito morente. Tutto è dato da una calcolatissima struttura di segni, eppure tutto è affidato allo spettatore. Ciò che lo spettatore cerca non è in quello che vede..”.
Questa tipologia della rappresentazione si muove già verso una precisa idea del vuoto, della mancanza, ciò che non è percepibile in senso iconico è comunque visibile per mezzo del linguaggio, la scrittura in particolare, adotta una forma tipograficamente neutra così da evidenziare  in senso assertivo, e quindi incontestabile, ciò che questa dichiara.
Il linguaggio, la scrittura, l’immagine, non solo questi elementi entrano nella lucida e poetica pratica dell’arte che caratterizza il lavoro dell’artista, c’è il pensiero pensante, quasi una senso sacrale ed autoriflessivo del dichiarare attraverso la scrittura e l’immagine, anche quando questa è solamente evocata.
Pensiamo per esempio ad un’opera come Il rosso e la macchia(DIO NOSTRO SIGNORE CREA QUESTO ROSSO E LO CHIAMA GESU’), evidenziando una epifania delle cose, in cui la creazione stessa viene ad essere attraverso l’asserzione linguistica,quasi un atto di stupefazione ,ma anche l’evocazione del disastro del frammento che non può più darsi nella sua totalità.
Maurice Blanchot nel suo libro La scrittura del disastro ben evidenzia questa sorta di impossibilità del dire compiuto, affermando: ”Una ripetizione non religiosa, senza rimpianto né nostalgia, ritorno non desiderato; il disastro non sarebbe allora ripetizione, affermazione della singolarità dell’estremo? Il disastro o l’inverificabile, l’improprio”.
Altro aspetto significativo del lavoro di Isgrò è la cancellatura,che si dà come pratica operativa, ma al tempo stesso dichiara una sostanziale analisi di pensiero sulla sua forma come prassi e come grafia. Il gesto dell’occludere, del cancellare inizialmente agisce attraverso l’idea della pratica gestuale e del conseguente effetto grafico ,ma presto si pone come operazione eminentemente filosofica e politica sul senso del linguaggio e sul suo significare.
Borges diceva che i libri migliori che ha letto sono quelli che ha dimenticato, evidenziando così anche uno degli aspetti significativi dell’operazione di Isgrò: non si cancella per distruggere, quindi il gesto non va letto nel senso di una operazione quasi dadaista, ma per liberare la parola e quindi spostare il senso del discorso della scrittura.
La cancellazione quindi, come afferma l’artista, libera la parola, le permette di esistere in una ipotetica possibilità che la stampa non possiede, rivelandone l’essenza e svelando la sua precisa posizione di frammento all’interno di un più ampio contesto:il libro.
In questo senso appare significativa una frase del poeta egiziano Edmond Jabès, là dove afferma che: ”L’immagine della parola è nella parola. La lettera non possiede alcuna immagine. Essa è l’immagine della scomparsa della parola..”
Lo stesso poeta afferma continuamente nei suoi scritti il sottile legame che incessantemente si intesse tra la parola ed il libro, così anche  l’operazione di Isgrò si muove all’interno di questa intesa, la parola cancellata è un gesto fisico e mentale, ma il luogo (il libro) in cui avviene la cancellazione è il contesto nel quale l’operazione va letta con il giusto senso.
Se pensiamo ad esempio alla cancellazione dell’Enciclopedia Treccani, della Larousse, della Britannica, l’operazione di Isgrò assume connotazioni ancora più chiare: è sulla totalità della cultura che l’artista interviene, essendo queste teoricamente il distillato di un sapere considerato universale.
L’operazione diviene anche politica, è l’intera cultura occidentale, la visione che questa ha di se stessa che viene messa in discussione, non negata come potrebbe apparentemente sembrare, ma ampliata, amplificata dalla scomparsa, enfatizzata in senso ampio dalla cancellazione.
Inoltre nei vari libri cancellati, emerge una precisa constatazione, l’oggetto cartaceo significante del significato che è dato dalla scrittura, viene privato di questa, quindi tutti i significati divengono possibili e l’oggetto libro assume il senso di contenitore di possibilità.
Anche la negazione identitaria dell’opera, nella quale l’artista dichiara di non essere Emilio Isgrò, può essere letta sotto la forma dell’ossimoro che dice per non dire e afferma mediante la negazione.
 

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