Claudio Parmiggiani: “Perduto nel sogno” di Maria Vinella

Claudio Parmiggiani: “Perduto nel sogno” di Maria Vinella
 
“Un’opera è sempre un viaggio verso il tutto e verso il nulla – spiega Claudio Parmiggiani – e nessuna parola è in grado di svelare quel mistero che è la sua vita profonda e il suo infinito. Posso solo parlare della sua forma visibile, premettendo che un’opera non è mai un gesto di buona educazione, né tranquillizzante, né ottimista ma un gesto duro, radicale, estremo. […] fatta di cenere, un’opera immateriale, fatta di silenzio e con la materia del tempo. Un’opera fatta di parole bruciate: delicata come le ali di una farfalla. Farfalla in greco si traduce psychè e psychè significa anche anima. Un’allegoria, una metafora, un percorso da una dimensione fisica ad una dimensione metafisica” (C. Parmiggiani, Stella sangue spirito, Artext 2007).
L’artista emiliano, nella sua lunga carriera si impone come una delle figure principali dell’arte italiana del secondo dopoguerra. Frequenta territori come quelli dell’Arte Povera e quelli del Concettuale, assumendo una posizione unica e inimitabile nel panorama contemporaneo.
In questi giorni, alcuni suoi lavori sono raccolti nella mostra “Perduto nel sogno”, a cura di Graziano Menolascina, presso la Galleria in Arco di Torino. Nell’opera dell’artista ritroviamo quel tipo di teatro della danza concepito in maniera da far assistere alla spettacolo dall’alto, ossia dall’unico punto di vista che consentisse al pubblico di afferrare il ballo nel suo gioco spaziale e non in una confusa sovrapposizione di piani. “Nel lavoro di Parmiggiani si osserva come il rapporto tra opera e spettatore e oggetti posti sulla scena, offra, a seconda dell’interdipendenza che si crea tra essi, una sterminata gamma di possibilità allo svolgersi dell’azione. Si percepisce sia nel disegno che nella scultura, l’essenza dello spazio, camminando e toccandone materialmente i confini. Un mix di geometrie piane, suddivisioni lineari, assi, diagonali, cerchi, unite a linee immaginarie, visibili e invisibili, luci e ombre”, scrive il curatore. Proprio come nel teatro di Schlemmer, dove la figura dell’attore è centrale nella scena, nell’opera di Claudio Parmiggiani la struttura diventa sole centrale e le sue irradiazioni hanno capacità e forza di creare forma e spazio. L’artista, quasi alchimista del quotidiano, determinato nel voler dominare la materia, mediante l’opera raggiungere una specie di immortale capacità. La capacità della creazione.
Parmiggiani, che inizia gli studi artistici a Modena e frequenta lo studio di Giorgio Morandi, espone per la prima volta nel ’65 a Bologna; del 1970 sono le prime “Delocazioni”, opere e ambienti di ombre e impronte realizzate attraverso l’uso della polvere, del fuoco e del fumo. Questo suggestivo genere di lavori, che inducono alla riflessione sul tema dell’assenza e del fluire del tempo nelle sue tracce visibili, sarà ulteriormente sviluppato negli anni successivi. Nel 2000 realizza “Il faro d’Islanda”, opera permanente, posta alla periferia di Reykjavik, solitaria e luminosa, lungo la strada che porta ad alcuni dei ghiacciai e vulcani più famosi dell'isola atlantica.
Significative sono state le intuizioni che, già dalla metà degli anni sessanta, hanno connotato in modo originale e innovativo la sua ricerca. Essa, ostinatamente, è racchiusa dall’autore in un’indipendenza ben definita all’interno del contesto artistico italiano, in un percorso volutamente fuori da qualsiasi etichetta, che non ha significato estraneità e non ha impedito incontri decisivi con importanti protagonisti dell’arte contemporanea. Invitato più volte alla Biennale di Venezia, ha presentato le sue opere presso altre prestigiose istituzioni internazionali pubbliche e private.

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