AUTORITRATTO: ALBA SAVOI si racconta - Redazione

AUTORITRATTO: ALBA SAVOI si racconta - Redazione
Non è facile…
Proviamo a scomodare l’alter Ego (l’artista) capriccioso, incostante e soggetto a innamoramenti e abbandoni improvvisi, in tensione perenne con l’Ego razionale, puntiglioso e un po’ maniacale.
La mattina, dopo un notte insonne, l’alter Ego, osserva “va sempre peggio, eh?:” non può essere diversa l’osservazione, poiché questo è fissato anche con l’estetica.  
Passiamo quindi ad altro.
Tra le caratteristiche di “alter” ho fatto cenno agli innamoramenti: il primo è stato con il disegno e la pittura, in seguito, per maturazione e curiosità, è subentrata la ricerca pseudo scientifica sul segno, risultato del gesto sulla tela “segno/campo”.
Il duello tra i due Ego è incominciato con i segni linee di forza in contrapposizione ai segni piega, materici e morbidi. Il concetto era dimostrare, che la tela supporto, da sempre violata sia dal segno colore che dal taglio di Fontana e altro, aveva una propria capacità e di proclamarsi, un’autonomia di segno.
Anche nei successivi momenti di ricerca c’è questa necessità di analisi e di sperimentazione.
Come nel periodo di “voglia d’azzurro”: grandi acquarelli con pigmenti di tutte le gamme dello stesso blu cobalto, prussia o indaco, di tonalità diversa per saturazione di colore, trattenuto, dai bianchi intrecci ortogonali.
La mia voglia di vedere quello che succedeva, con la sovrapposizione delle stesure di colore, lavate e poi asciugate predisposte nei campi quadrangolari della rete immaginaria, rispondeva alla mia esigenza di sapere scientifico, fino a che punto poteva essere sovrapposto il colore, che densità potevo raggiungere?
Il periodo dedicato ai libri di terracotta “Terre lontane – appunti di viaggio” è nato dopo un viaggio: il lavoro è stato lungo, non avendo mai lavorato con questo materiale.
Sulle pagine di questi libri ho inciso una mia scrittura asemantica, in altri spazi ho incorporato pigmenti di terre colorate per creare immagini astratte con i colori dei luoghi che mi avevano colpito, per esempio i colori di Petra, che con le stratificazioni di minerali vari, creano scenari dagli effetti sorprendenti.
Razionalità e maniacalità, lavorando con la carta vetrata di varia granulosità, il lisciare la pagina fino a darle un effetto setoso.
Dopo aver visto in un museo i frammenti scritti, e messaggi racchiusi in pani di terracotta (una specie di contenitore, che doveva essere rotto dal destinatario), non potevo fare a meno di pensare…. E se in un lontano futuro trovassero, levigati dalla risacca, frammenti delle mie Terre lontane?
L’archeologo non potrebbe, fare a meno di chiedersi da quale civiltà fosse stato prodotto, non avrebbe memoria di una certa Alba Savoi del XXI secolo.
In un periodo successivo sono ritornata alla pittura: il piacere di dipingere!
In questi lavori, alle pennellate di colore si contrappone il piano sovrapposto monocolore, tagliato a strisce verticali, quindi le pennellate colorate e libere, della pagina sottostante, sono intravisti dal movimento fluttuante causato dal vento o da una mano che vuol vedere sotto. “Contropittura” questo è il nome che ho dato a questi lavori, contrapposizione tra il gesto pittorico e il gesto razionale.
Nel periodo dedicato alle “Xeroxculture”, è il gusto del paradosso ad emergere.
Fare “scultura” o oggetto tridimensionale, con fotocopie.
Fotocopie di pieghe di tessuti vari che, incollate su pannelli di legno e sovrapposte a scalettatura, creano delle “xeroxculture” frontali o dei totem.
Un lavoro interessante.
In passato avevo rivalutato la tela campo di un quadro: perché non dare un nuova dignità artistica, anche al povero foglio, uscito da una fotocopiatrice Xerox?
E’ il nome della macchina che usavo in quel periodo e da cui ho tratto il nome del prodotto.
E ancora un altro periodo: “Pieghe su pieghe” – Tautologie : in queste opere la parola “piega o segno” è scritta tra le pieghe di stoffa e unita specularmente, come doppia possibilità del soggetto.
L’effetto maniacale è dato dalla stesura di una garza sulle superfici a proteggerle e a dare una materialità artigianale.
Mi piaceva “scrivere tra le pieghe”.
Pieghe e ancora pieghe, segni ricorrenti: quindi come non accennare a “pieghe di luce”?
Anche qui è importante per me la voglia di ricerca.
Questo periodo è nato causalmente, un primo pomeriggio: in una pausa sono stata colpita dai luminosi e variopinti riflessi che un raggio di sole, tramite un vaso colorato, produceva sulla parete bianca. 
Con la mia fedele amica, la macchina fotografica, catturai i diversi momenti ed i colori mutevoli che il sole autunnale creava: erano morbide pieghe.
Il divertimento per me è nato quando, portando le fotografie sullo scanner del mio computer, potevo manipolarle, rovesciandole a creare, della stessa immagine, un negativo e quindi con altri colori.
“Il rovescio della medaglia”, il vecchio detto, filosofia anche della vita, e quindi vedere gli eventi e le cose da un altro punto di vista.
Poi ci sono le scritte sui muri, opere tratte da fotografie fatte da me a Berlino quando il muro che divideva la città era ancora in piedi.
Ero affascinata da queste scritte che rispecchiavano momenti di emotività diversi ed interessata anche all’aspetto artistico.
Ho cominciato a lavorarci sopra ed a mettere in evidenza, con specularità e colori, i segni grafici della scrittura: il processo non sminuiva il messaggio ma lo metteva in evidenza.
Scritte che ancora oggi mi portano ad una ricerca più ampia su altri muri, quelli di Parigi, di Assuan, le grafie anatoliche degli Ittiti, il codice della stele di Rosetta e gli antichi segni rupestri dell’uomo di Neanderthal.
Quel segno ortogonale dell’antico uomo, ripetuto, eletto, in seguito, a firma per l’analfabeta, è forse, una prima sintetica, raffigurazione del sole?
O è il segno per marcare il territorio come fanno altri animali: “questa è la mia tana?
E’ il segno orizzontale, legato alla terra, mentre il segno verticale, proiettato verso la trascendenza, un’aspirazione ad altro?
M’incuriosisce la necessità che l’uomo ha di trasmettere ad un ampio numero di suoi simili la sua presenza, di lasciare un segno del suo passaggio.
Anche io ho questa voglia e mi chiedo, sempre più spesso, che senso ha rispetto all’infinito cosmico? 
Ritornando agli Ego e alter Ego, devo molto al primo: “il razionale” mi ha salvato in molte occasioni, ma devo molto anche al secondo, “l’artista” che mi dà gioia per le cose belle che mi fa godere e dolori per le disarmonie e le brutture che a volte, però, sono insopportabili.
Alba Savoi                                                                          
febbraio 2016

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