54. Biennale di Venezia: un itinerario tra le ILLUMInazioni

            Nell’elaborare il suo concetto per la 54° Biennale veneziana, Bice Curiger – immersa nelle riflessioni sulla luce, sulla fluidità, sull’immaterialità – definisce l’arte “uno strumento per illuminarsi (…), uno strumento intellettuale con possibilità di percezioni intuitive”.
Ecco da dove nasce l’idea di ILLUMInazioni-ILLUMInations, omaggio a Venezia, alle “illuminazioni profane” di Benjamin, al concetto, oggi tanto obsoleto, di nazioni.


di Maria Vinella
 
            Nell’elaborare il suo concetto per la 54° Biennale veneziana, Bice Curiger – immersa nelle riflessioni sulla luce, sulla fluidità, sull’immaterialità – definisce l’arte “uno strumento per illuminarsi (…), uno strumento intellettuale con possibilità di percezioni intuitive”.
Ecco da dove nasce l’idea di ILLUMInazioni-ILLUMInations, omaggio a Venezia, alle “illuminazioni profane” di Benjamin, al concetto, oggi tanto obsoleto, di nazioni. Eppure negli 89 padiglioni nazionali e nei quattro parapadiglioni dove alcuni artisti partecipanti (Franz West, Monika Sosnowska, Song Dong, Oscar Tuazon) ospitano altrettanti artisti (notevole l’operazione di Franz West con la copia della cucina domestica della propria abitazione di Vienna), la frammistione di paesi, artisti, opere genera una complessità fatta di nomadismi e ibridazioni, contaminazioni e sfrangiamenti, precarietà e fragilità, ma anche impegno e reciprocità, socialità e responsabilità.
            Guardando al mondo partendo dall’arte, senza dimenticare la storia e senza trascurare la progettualità razionale della modernità, Curiger riesce a dare senso a questa longeva esposizione internazionale. Lo si vede dalle opere degli artisti invitati che difficilmente deludono (pensiamo a Katharina Fritsch, a Loris Gréaud, a Rebecca Warren, a Norma Jeane, a Pipilotti Rist, a Cindy Sherman ecc.). Tra le partecipazioni nazionali segnaliamo: il sempre suggestivo Boltanski con l’opera “Chance” al Padiglione francese; il labirinto di Markus Schinwald al Padiglione austriaco; la casa sotterranea e impolverata di Mike Nelson al Padiglione della Gran Bretagna; le pervasioni sensoriali e sensuali del Padiglione della Cina; la monumentale scultura in argilla di Adrian Villar Rojas al Padiglione Argentina; le allettanti dieci conferenze organizzate presso il Padiglione della Norvegia. Impossibile dimenticare il vertiginoso video “The Clock” di Christian Marclay giocato sullo slittamento di passato, presente e futuro costantemente intrecciati nelle 24 ore di proiezione. Impossibile dimenticare, anche, il Padiglione Italia curato da Sgarbi.
            La selezione delle venti Accademie di Belle Arti d’Italia alle Tese di San Cristoforo propone una bella e promettente collettiva, pulita e ordinata, con i lavori di 200 giovani artisti. Interessanti appaiono le opere di Delphine Valli e Sara Basta (Accademia di Roma), l’opera fotografica di Francesca Loprieno (Accademia di Foggia), l’opera di Lucia Leuci (L’Aquila), i lavori di Francesca Speranza (Lecce), di Elisa Laraia (Bologna), di Barbara La Ragione (Napoli), di Laura Scottini-Laurina Paperina (Verona).
            Tra i 37 Eventi collaterali presentati da enti e istituzioni è interessante il confronto sui temi della sacralità sospesa tra matericità e immaterialità di Jean Fabre e Anish Kapoor. Il primo, nella Nuova Scuola Grande di Santa Maria della Misericordia propone “Pietas” (a cura di Di Pietrantonio e Katerina Koskina) con le cinque sconcertanti sculture marmoree dedicate alla relazione vita-morte e alla metamorfosi della resurrezione. Invece Kapoor nella Basilica di San Giorgio presenta “Ascension” (a cura di Lorenzo Fiaschi), installazione con una colonna di fumo bianco che sale al cielo in un vortice di silenziosa e mistica sospensione.
Stupefacente l’installazione specifica “Salt of the Earth” di Anselm Kiefer presso il Magazzino del Sale della Fondazione Vedova (a cura di Celant). Completa ed esaustiva del lavoro dell’artista, la personale di Pier Paolo Calzolari (alla Galleria d’Arte Moderna) che racconta attraverso un percorso tra le opere quaranta anni di ricerca e sperimentazione creativa. Alla Fondazione Querini Stampalia c’è la bellissima mostra di Marisa Merz a cura di Chiara Bertola, che ordina nell’originale percorso visivo evanescenti disegni, sintetici pastelli, esili testine in argilla.
Infine, “Elogio del dubbio” alla Fondazione Pinault di Punta della Dogana, curata da Caroline Bourgeois, offre un eccezionale progetto espositivo che riesce a sconvolgere anche le ultime certezze percettive e concettuali rimaste dopo l’overdose d’arte veneziana.