CONVERSAZIONI D’ARTE. Incontro con Raffaele Quida di Maria Vinella

CONVERSAZIONI D’ARTE.  Incontro con Raffaele Quida  di Maria Vinella
L’artista salentino Raffaele Quida (Gallipoli, 1968) sviluppa la passione per l’arte terminata la maturità classica e gli studi universitari a Bologna. Una scelta inaspettata che prende corpo quando nascono i primi esperimenti di arte figurativa. La curiosità e il desiderio di misurarsi con se stesso lo portano a frequentare il Centro di Arte sperimentale Man Ray di Cagliari. Risalgono a fine anni novanta le premesse che condurranno ad una serie di dipinti appartenenti alla cultura informale; in queste opere macchie di colori vanno a comprimersi fra loro all’interno di uno spazio ideale. Del 2001 sono le opere del ciclo “Compressioni”, dove si configura una fragilità e temporaneità esistenziale che rimarrà il cardine e la dialettica costante di tutto il lavoro dell’artista.
 
 
- Raffaele Quida ci racconti il tuo lavoro?
- I miei lavori fondono pittura, installazione e performance e nascono da situazioni ambientali precise. Trovano poi collocazione in spazi/locations dove l’ambiente stesso si trasforma in un luogo in cui porsi domande. Prediligo un tipo di intervento site specific, basato sulla percezione dello spazio architettonico e l’utilità delle cose di tutti i giorni. Oggetti e installazioni di vari materiali e compositi prevalentemente utilizzati nell’edilizia e spesso reperiti sui cantieri edili, ma anche elementi naturali che in un certo senso interagiscono con quei materiali e con le geometrie architettoniche: la luce, l’aria, l’ossido, l’acqua, gli agenti atmosferici e i prodotti industriali (alluminio, ferro zincato, olio combusto proveniente dai veicoli usati per l’edilizia).
 
- Senti una vicinanza con opere o artisti del contemporaneo?
- Ho un’attenzione particolare per gli artisti concettuali, per alcune opere soprattutto … Comunque credo che l’arte debba essere più aperta e di tutti, e non dei soliti pochi personaggi. Oggi sembra che essa stenti sempre più ad avvicinarsi al grande pubblico. Nessuno si riconosce più in ciò che viene proposto dagli artisti.
 
- Dello scorso anno è il bellissimo progetto “Continuum” basato sul processo di interazione tra spazio ambientale e pubblico, di cui sei l’unico protagonista in tre diverse città. Se nel primo intervento performativo (a cura di L. Madaro a Lecce) e nel secondo intervento (a cura di A. Marino a Bari) scegli il contatto con un pubblico plurale e occasionale per instaurare un rapporto di comunicazione diretto, nel terzo (curato da M. Casavola a Taranto) analizzi il rapporto tra spazio esteriore ambientale e spazio interiore umano. Qual è stato il tuo obiettivo in questo caso?
- Obiettivo è stato veicolare percezioni e riflessioni sui luoghi quotidiani: un’esperienza sensoriale e simbolica che esprime il senso vero del vivere, anche attraverso l’interferenza con forme sociali precostituite. Il concept attorno a cui ruota tutto il corpus del progetto è il corpo, dal momento del concepimento-nascita, ai coinvolgimenti relazionali e sociali. Sono molto soddisfatto dell’esito delle tre performance, ampiamente documentate, che sarà esposto nel settembre 2017 a Milano nell’ex Fornace dell’Ecomuseo Urbano, in una mostra personale a cura di Alessia Locatelli.
 
- Altre mostre e alti progetti?
- In questi ultimissimi anni ho lavorato molto. Penso alla mostra “Istanze” a cura di Isabella Battista, organizzata dalla galleria Cosessantuno Artecontemporanea e allestita negli spazi degli Studi Legali “Malinconico_Lenoci_Cassa, Catalano & Pastoressa_Legal Research-Gentile & Partners_La Pesa”, di Palermo, un’esperienza diversa dal solito e molto stimolante. Poi il progetto “Quel Centro al Centro”, Centro Culturale Man Ray e Fondazione per l’Arte Bartoli Felter di Cagliari. Ancora: “Et in Arcadia Ego”, mostra di arti visive a cura di Efisio Carbone presso la Cittadella dei Musei cagliaritani. Invece in Puglia ho proposto l’evento  “Oὐσία” a cura di Alexander Larrarte e Isabella Battista, ospitato da CoArt Gallery Corato di Bari.
 
- Ricordo anche una tua bellissima partecipazione a “Luce 01”, a Palazzo Mongiò dell’Elefante della Torre di Galatina, un progetto curato in collaborazione dalle gallerie Francesca Minini di Milano e Cosessantuno di Taranto. Nello stesso luogo, la mostra “è” fatta da te e Tamara Repetto, a cura di Michela Casavola; le tue opere ruotavano intorno a nodi tematici come le relazioni tra corpi ed eventi fisici, il tempo e lo spazio, l’assenza e il ritorno alla materia, epica e poetica del vuoto. Ad esempio, in Esercizi di Istanti perimetravi metaforicamente il processo della dilatazione temporale mediante fogli di carta immersi in pigmento nero e segnati da numeri connessi ai minuti di immersione; così oggettualizzavi e misuravi il tempo nell’ambito di opere in continua evoluzione.
- Con i lavori su carta il tempo interviene costantemente sull’opera, con un processo continuo e reso visibile dal liquido assorbito dai fogli inseriti in appositi contenitori o attraverso le carte termiche dove grandi fogli di carta fotosensibile collocati tra le mura abbandonate di cantieri edili sono un pretesto per instaurare una relazione specifica con un luogo. A prima vista semplici monocromi bianchi, ad uno sguardo più attento le opere rivelano le geometrie delle architetture impresse sui fogli dal taglio della luce che infrangendosi  sui pieni fa intravedere gli spazi vuoti facendo depositare sulla superficie del foglio libera da impedimenti quella luce che ne lascerà il segno. È come se quel luogo preciso si “autoritragga”.
 
- E i tuoi interessi per l’architettura? Per le narrazioni dello spazio abitato?
- A volte parlo di un’architettura ufficiale dove sono presenti i temi dell’urbanistica e dello spazio con quei canoni ben precisi dell’abitare, tipici di un tessuto sociale ormai globalizzato e legata ad un senso dei luoghi standardizzati e formulati sulle basi di un consumismo effimero e sulla mancanza di identità come direbbe Marc Augé, “oggi i luoghi sono sempre più dei non luoghi”. E poi racconto le architetture non ufficiali, l’arte dell’arrangiarsi nata dall’ingegno popolare, che hanno avuto un ruolo essenziale nella costruzione del paesaggio. Interventi spaziali che vengono accuratamente eseguiti all’interno e sul perimetro di un dato spazio.
 
- Quali sono i tuoi progetti nell’immediato futuro?
- Ad aprile prossimo partecipo al progetto siciliano “Rizomata” che si articola in cinque personali degli artisti Sarah Ciracì, Federico Pietrella, Stefania Galegati, io e Carlo Bernardini e una collettiva finale di tutti gli artisti, sempre a cura della Marino. Le mostre saranno anticipate da eventi scientifici rientranti nel programma di lavoro e di pianificazione proposto dagli Studi Legali “Malinconico_Lenoci_Cassa, Catalano & Pastoressa_Legal Research-Gentile & Partners_La Pesa” di Palermo.

(Nelle foto, immagini dal progetto “Continuum” di Raffaele Quida)