CONVERSAZIONI D'ARTE: Incontro con l’artista Nico Angiuli di Maria Vinella

CONVERSAZIONI D'ARTE: Incontro con l’artista Nico Angiuli  di Maria Vinella
Vivendo un po’ in Italia e un po’oltre l’Adriatico, a Tirana, Nico Angiuli ironicamente descrive tutto il suo lavoro d’artista come “Un gioco che si è fatto serio”. Dopo aver studiato Belle Arti a Roma, Bari e Venezia (biennio magistrale in Produzione e progettazione di Arti Visive allo IUAV), si occupa dei molteplici aspetti dell’arte oggi: dalla scultura al cinema, dalla fotografia alla performance. Sperimentatore infaticabile, ha seguito laboratori con Tania Bruguera, Antoni Muntadas, Olaf Nicolai, Angela Vettese, Francesco Vezzoli, Cesare Pietroiusti ecc. Ha collaborato con il collettivo romano Stalker di Romito e Careri; nel 2007 co-fonda ilmotorediricerca lavorando a progetti tra Italia, Grecia e Albania. Ha diretto il film “Otnarat”, che mette in scena una Taranto priva della pervasiva industria pesante. In seguito, realizza progetti con importanti istituzioni in Italia e all’estero, tra cui Dena Foundation (New York), ProHelvetia, Apulia Film Commission, Via Farini e Connecting Cultures (Milano), Biennale di Atene. Ha conquistato importanti riconoscimenti e premi, e ha esposto le sue opere in musei, fondazioni, gallerie, tra cui la Quadriennale di Roma, il Museo MART di Trento e Rovereto, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, la Fondazione Pistoletto di Biella. Inoltre: Museo BOZAR di Bruxelles, II Biennale di Kiev, NOoSphere Arts e ArtOMI (New York).
 
- Nico Angiuli, in questi giorni hai presentato una suggestiva installazione per la manifestazione pluriennale “Il Sacro incontra l’Arte: un Artista contemporaneo si confronta con la tradizione”, realizzata a Triggiano (Bari) nell’Area Archeologica Soccorpo Chiesa Madre Santa Maria Veterana (su invito dell’Archeoclub d’Italia, sede locale N. De Filippis). Dedicato a “Lo spazio e la memoria”, nella XIV edizione dell’evento culturale, il tuo progetto - come scrive la presidente Maria Anna E. Lagioia - coniuga il presente dell’arte con la pregevole realtà storico-archeologica del territorio, avvolgendo in un’aura multisensoriale, quasi fuori del tempo e dello spazio, la sensibilità degli osservatori/visitatori. Puoi spiegarci tu stesso come nasce e come si sviluppa questo lavoro?
 
Omnia Munda mundis è un’opera corale realizzata grazie all’invito di Maria Anna Lagioia, un invito a riflettere sul tema della Natività e creare un’installazione specifica per gli spazi della chiesa ipogea, che soggiace alla Chiesa Madre cittadina. Nel giorno del sopralluogo, mentre eravamo sottoterra, ho sentito i canti delle devote giungere dalla chiesa sopra di noi; ho pensato a quelle stesse voci risuonare, ma mille anni prima, quando la chiesa era luogo di culto; ho quindi proseguito su questa riflessione invitando sei coristi a far parte del progetto. Abbiamo optato per un canto di sole voci e scelto un’espressione latina “Omnia Munda Mundis” che letteralmente significa “tutto è puro per i puri”: ho sentito un legame forte tra questa frase e la Natività, perché invita a riflettere sulle colpe che ci abitano e che troppo facilmente incarniamo negli altri.
 
- Si è appena conclusa al Palazzo delle Esposizioni la XVI Quadriennale d’arte di Roma, dedicata con “Altri Tempi. Altri Miti” alle tendenze più interessanti dell’arte italiana attuale. Tra gli 11 curatori anche Matteo Lucchetti che ti ha invitato nella sezione “De Rerum Rurale”. Cosa puoi raccontarci di quest’esperienza?
 
Lucchetti ha elaborato una riflessione sulla ruralità in Italia, invitando alcuni artisti interessati al rurale inteso come spazio attraversato da fortissime tensioni eppure sottovalutato, abusato e minacciato; uno spazio centrale per l’Italia, che offre tantissime letture della contemporaneità, come e forse più della città. In questo ambito s’inserisce il progetto filmico Tre Titoli. è un film che incrocia due mondi identici ma su piani temporali sfalsati: i migranti che oggi raccolgono i pomodori e vivono a Tre Titoli (borgo a pochi km da Cerignola, nel foggiano) e quei cafoni che a inizio Novecento lottarono in questi stessi luoghi per i propri diritti, al fianco di Giuseppe Di Vittorio, sindacalista di fama mondiale e padre della moderna CGIL. Il film suggerisce un terzo corpo sociale, rappresentato dall’incontro fisico tra queste due comunità, una possibilità che se coltivata politicamente, sono convinto sottrarrebbe i migranti da una condizione di oblio e aiuterebbe noi italiani a rivedere nei braccianti del pomodoro i nostri genitori. Filmicamente abbiamo riadattato una serie di azioni compiute da Di Vittorio e i suoi braccianti, riutilizzando anche discorsi del sindacalista o trasformando canzoni vernacolari in brani che parlassero della condizione di bracciante migrante; filmando tanto nello spazio cittadino quanto nelle campagne (ma sottraendo costantemente tutto quell’immaginario piatto e osceno da reportage di Quinta Colonna o La7), dando spazio alle espressioni di odio e di razzismo, anche tra chi celebra il passato ma non riesce a informare il presente, riducendo la memoria delle lotte ad una stelletta da tenere al petto.
 
- Come sta evolvendo la tua ricerca in questi ultimissimi anni?
 
Sono partito nel 2008 con una serie di perfomance che indagavano il rapporto tra lavoro, economia e una loro trasposizione performativa. Volevo affrontare la precaria condizione di giovane artista dall’interno, e sono nati progetti come Ma Vai a Lavorare! (performance, video, foto) in cui sono stato un fruttivendolo a Rialto per circa un mese; quindi Le Piastrelle sono Intenzioni, dove ho lavorato come muratore nel ghetto ebraico di Venezia, realizzando poi una performance pubblica con i materiali del cantiere; sono quindi passato a progetti di più lunga durata come La Danza degli Attrezzi (video, lecture performance, livetime drawings) che dal 2010 riflette sulla meccanizzazione del lavoro attraverso una semplice riproposizione del gesto agricolo ma fuori dalla sfera economica, senza l’attrezzo stesso. Lo stesso film Tre Titoli nasce come uno sviluppo di questo progetto.
Adesso sono interessato soprattutto agli effetti che la tecnica intrattiene con il potere, alla riappropriazione della tecnica come forma di resistenza al potere stesso; alle modifiche che l’uso della tecnologia impone al paesaggio e ai suoi abitanti; alla trasformazione della classe bracciantile europea e alle relazioni tra agricoltura e neocolonialismi di matrice economica.
 
- A quali progetti stai pensando per il tuo lavoro futuro … cosa stai preparando?
 
Con l’aiuto di diverse istituzioni italiane ed europee stiamo sviluppando La Danza degli Attrezzi nell’ottica di una compagnia transnazionale di arti performative e teatro migrante, per aprire ad una lettura culturale della presenza migrante stessa, fuori dalla soglia della forza lavoro. E poi sono occupato con due progetti per film: il primo con l’amico e artista Fabrizio Bellomo sulle possibilità fantomatiche di una macchina fotografica in grado di ghiacciare l’Adriatico; l’altro con Giuseppe Valentino, che ha curato la direzione della fotografia di Tre Titoli, con cui attraverserò l’Italia (dalle aree interne ai pescatori illegali di Taranto) indagando il tema del lavoro nella sua accezione di tabù contemporaneo.
(nella foto: Omnia Munda Mundis di Nico Angiuli. Veduta installazione. Area Archeologica Santa Maria Veterana, Triggiano, 2016)