AUTORITRATTO: Rosella Restante si racconta – Redazione

AUTORITRATTO: Rosella Restante si racconta – Redazione
 
Perché non cerco nella rappresentazione il colore, che mi emoziona tanto. La risposta, almeno credo, sta in una sorta di stupore infantile. Quando al mattino, nel paese dove sono nata, per le abbondanti nevicate, vedevo l’incanto degli alberi e il tutto era un insieme di segni neri nel bianco.
 
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La base del percorso spirituale della mia ricerca artistica è stata l’indagine di una profonda esperienza all’interno del dualismo.
Il disegno ne è stata la struttura linguistica portante, fin dall’inizio.
Il segno, lo strumento sempre pronto, immediato e veritiero tra me e la realtà, appariva e spariva nei neri assoluti a carbonella in cerca della sua forma. Che siano stati ritratti, come al liceo artistico, o forme astratte, come nel periodo informale dell’accademia, o nella fotografia e nel video di oggi.
Mi sono chiesta il perché. Perché non cerco nella rappresentazione il colore, che mi emoziona tanto. La risposta, almeno credo, sta in una sorta di stupore infantile. Quando al mattino, nel paese dove sono nata, per le abbondanti nevicate, vedevo l’incanto degli alberi e il tutto era un insieme di segni neri nel bianco.
Nel primo periodo la ricerca era totalmente istintiva, e si orientava sempre di più verso il mistero nascosto dell’esperienza del fare arte, per riunire ciò che nella struttura portante della vita è costantemente scisso. Quella scissione creava una sorta di stordimento nei confronti del mio rapporto con il momento storico che vivevo.
Fu l’arte povera e concettuale a farmi sentire a mio agio. Rilassata nel mio elemento linguistico iniziò la ricerca dei materiali.
Ho lavorato il travertino per vari anni, il ferro, il vetro in pure forme geometriche, eredità artistica di Nicola Carrino, mio insegnante. All’interno della tecnica estrema stabilisco un rapporto di dialogo spirituale, quasi una preghiera.
Dell’incisione ne subivo il fascino alchemico. Di nuovo il segno diventava unico e nella sua velocità cercava la terza dimensione.
Il minimalismo era una tentazione continua, lo trovavo perfetto per un momento storico ridondante di immagini.
La consapevolezza, nel senso del racconto visivo, è nella percezione del valore dello spazio. Le installazioni un percorso di conoscenza, con cadute e riprese, incontri e scontri, un risveglio, nel paese delle meraviglie.
 
Nella mostra “Quel che resta del vuoto” ho tentato di unire il concetto di vuoto occidentale con quello orientale. Installare per me, significa far nascere e vivere all’interno di un vuoto.  
Nei video sento il tempo e la sua assenza come in nessun altro tipo di linguaggio. Complice il mio grande innamoramento per il Cinema, praticato in un corso di regia negli anni 70.

Nella mostra “Visitando la parola”, l’installazione video ha un posto imprescindibile. In questa esperienza, consapevole della decadenza del nostro linguaggio, ho cercato una nuova forma di comunicazione che si è espressa in grandi sculture braille, un segno materico e ancestrale che attraversa lo spazio della galleria. Il video frantuma e ricompone il grafico della mia voce.
 
Sculture, grandi disegni e fotografie in “Clinamina”, creano la nascita, la forma e i suoi simboli, il mio mondo di respiri, micro e macro insieme al di fuori del tempo. Le foto si pongono, come scrive Mimmo Grasso “parte invariabile del discorso”.

A volte torno ai giochi infantili che diventano concetti, insegnamenti di vita semplici e crudeli. Come nella mostra “…IN…” in cui racconto i quattro cantoni e la percezione labirintica dello spazio. Un video proietta, con un rumore assordante, la foto delle mie mani nell’ angolo di una parete in cui erano state disegnate precedentemente le stesse mani.

Nell’installazione “Quando il gioco si fa metafora” è lo shangai, con cui metto alla prova il nostro non-potere sull’ordine e caos. Dimensione umana senza scampo tra due cieli nemici e in basso l’architettura di tondini di ferro in un equilibrio ironicamente provvisorio.

Esperienza diversa ed ugualmente totalizzante è quella dei libri d’artista: “Impronte”, “non ancora e già”, “Fonema”, il cui tema è quello delle identità invisibili, altro argomento del mio lavoro. Compagno di viaggio che affronto con i simboli e i linguaggi messi a disposizione dalla nostra epoca, per chiedermi, senza pretese di risposta, dove ci siamo persi.