13/06/2015  al 15/11/2015

Trees

A cura di: Testo di Alberto Nessi

Trees
 Trees è la decima mostra ospitata nell’ex scuola d’infanzia di Bruzella, sede della Fondazione Rolla. Le fotografie appartengono alla collezione privata di Rosella e Philip Rolla.
 Le 36 opere esposte racchiudono una particolare attenzione ed esperienza di Philip Rollla.
 “Sono cresciuto in campagna, la terra era dedicata alla piantagione di prugne. La sussistenza della mia famiglia dipendeva dagli alberi: mio nonno e mio padre li rispettavano religiosamente. Pensavamo che grazie ai loro frutti la nostra sopravvivenza sarebbe stata eterna. La nostra casa era nel mezzo del frutteto, i vicini erano i nostri alberi. Prendendoci cura di loro, si prendono cura di noi. Questa mostra è dedicata a loro”.
 Elenco degli autori: Robert Adams, Eugène Atget, Max Bauer, Josef Breitenbach, Simone Casetta, Vincenzo Castella, Mario Giacomelli, Fritz Henle, John Hilliard, Clemens Kalischer, Gerhard Kurtz, Anna Leader, Giovanni Luisoni, Anna Meschiari, Richard Misrach, Albert Renger-Patzsch, Douglas & Michael Starn, Josef Sudek, George Tice, Ernö Vajda, James Welling.
 Introduce il catalogo un testo del poeta e narratore Alberto Nessi.
 In occasione del quinto anno di attività la Fondazione Rolla ristampa il primo catalogo pubblicato Josef Sudek. Cacciatore di magia, da tempo esaurito.
 In occasione del decimo progetto realizza un cofanetto in edizione limitata con la raccolta completa delle pubblicazioni.


Siamo alberi
di Alberto Nessi
 Chi conosce la scienza sente che
un pezzo di musica e un albero
hanno qualcosa in comune, che
l’uno e l’altro sono creati da leggi
egualmente logiche e semplici.
Anton Cechov1
 Qui, vicino a casa mia, c’era un vecchio ciliegio che cantava la canzone delle stagioni insieme con cince e pettirossi:
“Tutto ricomincia” pareva dicessero i suoi petali bianchi a primavera. Un giorno apro la finestra e il ciliegio non c’è più.
 L’uomo d’oggi, vittima dell’alienazione, non ama gli alberi, che nell’antichità erano oggetto di culto: il denaro e le merci hanno obnubilato la sua mente e il suo cuore, l’hanno reso ottuso. O forse l’uomo è invidioso della felicità delle crea­ture arboree, che gli ricordano la propria miseria. Così, per vendicarsi, fa partire la motosega: in mezz’ora la creatura è stesa al suolo, squartata, fatta a pezzi, liquidata. Con lei se ne vanno i pensieri portati dai petali, la gioia dei frutti rossi che un giorno le bambine hanno appeso a cavalcioni delle loro piccole orecchie come fossero coralli, lo spiraglio che le fronde aprivano verso la bellezza, le parole sussurrate dai rami nella brezza o il delirio che correva fra le sue foglie scompigliate i giorni di tempesta.
Gli alberi sono le colonne che reggono il cielo, secondo un detto degli indiani d’America. E fanno compagnia: ricordate la canzone di Brassens, felice finché viveva accanto alla sua quercia? “Prendendoci cura di loro, si prendono cura di noi” dice Philip Rolla, nell’introduzione; perché c’è una relazione segreta fra noi e gli alberi: c’immergiamo nella dolcezza della loro ombra, parliamo con loro, da bambini ci arrampichiamo su rami divaricati a costruire una capanna o ci rifugiamo nel tronco secolare di un castagno come in un ventre materno.
 L’uomo - afferma Platone - è un albero che cresce con le radici rivolte verso l’alto. L’albero rappresenta la forma pri­migenia, libera, “barocca” della Natura contrapposta all’or­dine “classico” governato dalla Ragione. E il poeta Jacques Prévert, uno dei tanti che l’hanno cantato, lo fa diventare cavallo:
 
Alberi
cavalli selvaggi e saggi
dalla verde criniera
dal gran galoppo discreto
scalpitate nel vento
dritti nel sole dormite
e sognate2
C’è un’affermazione di Paul Klee, del 1924, che può illu­minarci: il paragone dell’artista con l’albero. L’artista è il tronco che assorbe i succhi attraverso le radici. “Tormentato e commosso dalla possanza di quel fluire, egli trasmette nell’opera ciò che ha visto. E come la chioma dell’albero si dispiega visibilmente in ogni senso nello spazio e nel tem­po, così avviene con l’opera”.3
Così avviene con l’opera d’arte. E dunque anche con la fotografia, se la fotografia è arte e non solo un clic. Così avviene nelle opere esposte in questa sede: che non si tro­va in città ma in un luogo decentrato: ma non è forse nelle valli al di sopra delle nebbie che in primavera si accendono piccoli fuochi, a bruciare ciò che ingombra il nostro spirito?
Anche queste foto sono piccoli fuochi: l’albero sacro di Robert Adams proietta una breve ombra su una prateria deserta; il Jardin du Luxembourg, nell’albumina di sapore proustiano di Eugène Atget, innalza colonne arboree sopra la donna di marmo guardata da sedie metafisiche, immerse nel biancore dell’inverno a creare un’atmosfera d’attesa; la vegetazione selvaggia di Josef Breitenbach avvolge la casa vittoriana macchiandola di luci e di ombre; Fritz Henle ci fa venire la nostalgia del paesaggio collinare anni Trenta, dove la luce nutre vicoli toscani assolati e ci fa immaginare un vagabondaggio lontano da uomini e macchine, con quelle lance dei cipressi puntate verso il cielo; Mario Giacomelli fa contrastare l’organico di rami scheletrici con il geometrico di coltivi marchigiani; di Albert Renger-Patzsch ci meraviglia una grandiosa proliferazione di rami spogli, sorretti da una base possente: il libero intrico contro la parete del cielo ri­chiama l’intreccio pollockiano di Richard Misrach; Douglas & Michael Starn ci presentano, con effetto tridimensionale, una creatura inquietante, tra il ragno e la piovra, a parlarci della struttura del pensiero e delle sue ombre, dei grovigli del nostro inconscio; gli ulivi di Ernö Vajda - nodosi rugosi potenti feriti drammatici vitali - sono cresciuti in una cam­pagna ariosa ma hanno assorbito gli sconvolgimenti delle guerre mondiali e si contorcono con i loro tronchi antichi raccontandoci i drammi del secolo più tragico della storia: essi dialogano per contrasto con le malinconiche rama­glie crepuscolari di James Welling inclinate verso l’asfalto; Gerhard Kurtz, Anna Leader, Simone Casetta e Anna Me­schiari mostrano alberi spaventati che sfidano l’architettura e i condizionamenti urbani con poche chances di salvezza, mentre George Tice canta la calda presenza pointilliste del­la vegetazione immersa nel grigio pastello del prato o nella bruma serale; Vincenzo Castella ci porta qui a Bruzella pro­ponendoci un’esile trama vegetale smarrita dentro la neb­bia, nebbia proposta in avvallamenti ticinesi, con delicatez­za giapponese, anche dall’obiettivo di Clemens Kalischer; Max Baur ci offre tronchi argentati di betulle con tenere chiome dimezzate; le piante di John Hilliard sono riprese dai quattro punti cardinali dentro le quinte di un paesaggio sfumato mentre il nostro Giovanni Luisoni ci aggredisce re­alisticamente con un ippocastano squarciato, allusione alle grandi ferite inferte dalla natura o alla natura.
Ho lasciato per ultimo Josef Sudek, perché ho un rapporto speciale con i suoi rami visti attraverso la finestra appan­nata dello studio - creature che sembrano appartenere al mondo della memoria - e con quel moncone mitteleuropeo che grida silenziosamente a un cielo invaso da nuvole di bambagia. 
 

Luoghi

  • Rolla.info - ex scuola d’infanzia - Via Municipio - 6837 Bruzella - Italia
             0041 77 4740549

    ogni seconda domenica del mese dalle 14.00 alle 18.00 o su appuntamento

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