Rita Mandolini “Disturbo di conversione”
A cura di: Diletta Borromeo

É l’oscurità, la condizione prediletta dall’artista. Il buio e i piccoli anditi: spazi intimi e nascosti, come i luoghi in cui ci si rifugia nell’infanzia. Ci troviamo in una dimensione privata e raccolta, ove si affacciano memorie sepolte, fra giochi e paure, evocate nella fotografia che ricorda il muretto della scuola sormontato da vetri taglienti. «I legami visivi ed emotivi che instauro con un luogo o una storia sono per me fondamentali nel dare forma a un’idea», scrive l’artista. In questo caso, l’esecuzione dei ritratti di suore si è dispiegata dal 2009 al 2019, un lasso di tempo in cui si colloca la visita al convento di Santa Rita, dove – nel racconto di Mandolini durante una conversazione – una suora le ha mostrato la “reliquia” di Yves Klein, devoto alla Santa, un prezioso scrigno contenente colori e oro dell’artista francese. Lo scrigno sembrava ambiguamente, ironicamente (e forse drammaticamente) simile a una trousse per il trucco femminile. Senza eufemismi né indulgenza, e in contrasto con l’apparente tranquillità emanata dai ritratti, lo sguardo si rivolge alle contraddizioni interiori sorte da proibizioni, inibizioni, conflitti, negazione della femminilità, segreti inconfessabili. Fronteggiano la quadreria due tradizionali simboli di femminilità: in Orpello (2017) appare un pettine, rappresentato a guisa di quelli dipinti da Diego Velàzquez, maestro nell’uso del nero; mentre un ventaglio, talismano di femminilità celata con frivolezza, è “decorato” con l’ecografia uterina dell’artista, mettendo in mostra un altro andito segreto, visibile nel suo aspetto fisico e crudo, spazio interno fra le interiora scelto come autoritratto. Il ventaglio conserva la forma originale, ma l’immagine è in attrito con la funzione dell’oggetto, che risulta quindi alterata così come avviene con la liquirizia, una massa strisciante di materia che invade il pavimento pur continuando a diffondere il caratteristico profumo che la rende così invitante.
Identità e interiorità si trovano in opposizione, o comunque in bilico sul filo di un labile confine, tra lo sguardo distaccato e la compassione (nel significato latino del sentimento di vicinanza). Ma si tratta anche del confine tra la forma (se così possiamo chiamare la cangiante epifania dei dipinti) e l’informe (il ventre sul ventaglio e la matassa dei cavi di liquirizia). «Mi diverte molto modellare, ma anche disfare», afferma l’artista. La forma vive dunque in uno stato sempre mutevole, in virtù della luce o della malleabilità della materia, anche grazie allo sguardo altrui.
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Luoghi
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Orario: dal lunedì al venerdì ore 17.00 –19.30 (chiuso sabato e festivi)