06/04/2013  al 25/05/2013

Paolo Morello. Un lume sì gentil

Paolo Morello. Un lume sì gentil

Che cosa è un ritratto? Qual è, oggi, la sua funzione sociale? Riescono, gli ultimi ritrovati della tecnologia digitale, a soddisfare ancora quel bisogno di rappresentazione che sin dall’antichità ha accompagnato il viaggio dell’uomo attraverso il mondo dell’arte? Muove da queste domande l’ultimo lavoro di Paolo Morello, Un lume sì gentil, una serie di ritratti di grande formato in mostra alla Galleria Studio di Palermo fino al prossimo 25 maggio.
Non pose glamorous di modelle professioniste, ma ritratti di donne comuni: madri, amiche, professioniste. Ritratti che volutamente rifiutano le mode corrive del digitale per tornare a concentrarsi sull’eleganza della postura e sull’incanto dello sguardo. «De gli occhi de la mia donna si move / un lume sì gentil, che dove appare / si veggion cose ch’uom non pò ritrare / per loro altezza e per lor esser nove...» scrive Dante in una delle Rime, offrendo alla storia del ritratto uno spunto eccezionale. È forte, in queste fotografie, la volontà di radicarsi nella storia della poesia e dell’arte e, più in senso lato, in una tradizione culturale che, dietro l’apparenza dei lineamenti, intende utilizzare il ritratto come strumento di indagine sull’identità del soggetto raffigurato.
«Un ritratto – dice Morello – è un’occasione per entrare in relazione con un’altra persona. Una via meravigliosa per fondare una intimità. Che cosa c’è di più emozionante della curiosità che ci spinge verso un altro uomo? Della possibilità che tra le nostre idee e le sue, tra le sue e le nostre emozioni, si riesca a stabilire un patto, un’intesa, un punto d’incontro? Un ritratto è la testimonianza, il ricordo di questa reciproca volontà d’incontro. Ciò che resta maggiormente impresso nella mente di tutti, fotografati e fotografi, ogni volta che si esegue un ritratto con queste intenzioni, è il ricordo dell’esperienza vissuta». Ricordi destinati a durare. Queste immagini sfidano il tempo: riguardarle tra dieci o vent’anni procurerà la stessa emozione, la stessa sensazione di sobria eleganza, che proviamo oggi nell’ammirarle.

Testo critico di Anna Li Vigni
«Così per gli occhi mi passa a lo core» cantava Giacomo da Lentini, poeta siciliano del XIII secolo, in un sonetto che ritrae la grazia dello sguardo magnetico e incantatorio della sua donna. Per la cultura medievale, gli occhi sono la fessura dalla quale spira l’alito d’amore che ha sede nel cuore insieme agli spiriti vitali. È per il tramite dello sguardo che l’amore promanato dalla donna transita, per toccare infine il cuore dell’innamorato. È dallo sguardo e nello sguardo che si compie il miracolo della comunione di due anime. Eppure, difficilmente nei sonetti d’amore dei poeti siciliani o nelle poesie composte da Dante Alighieri in lode di Beatrice troviamo una descrizione dettagliata del volto della donna amata, bensì sempre l’evocazione del suo sguardo, quel visus (dal latino video) che non solo determina il volto tutto, ma finisce per contrassegnarlo anche semanticamente. Dallo sguardo di lei emana un’aura di fascino che obnubila la percezione comune, sicché la donna, come fosse un’apparizione soprannaturale immersa in una nube di luce, assume le connotazioni di un essere metafisico, che il linguaggio umano a disposizione del poeta non può descrivere.
Gli scatti di questa mostra intrattengono una relazione emulativa con gli antichi versi dei poeti mediterranei del XIII secolo che, dalla Provenza alla corte di Federico II, fino al Dolce Stil Nuovo e alla Silvia di Leopardi, hanno cantato il mistero dello sguardo femminile nel suo rivolgersi fuggevole e insieme profondo a chi ne subisce l’incanto. Ut pictura poësis: l’immagine fotografica oggi, con i suoi mezzi, esprime quel nescio quid che ha caratterizzato il fascino dei ritratti al femminile della poesia italiana, sottolineando l’essere Donna (dal latino: Domina), ‘Signora’ incontrastata dell’interlocuzione silenziosa e quasi divina che si instaura nella contemplazione del suo viso da parte di un osservatore.
Il volto è un mistero. Forse il più grande mistero cognitivo. Se da un lato noi esseri umani siamo ossessionati dal viso, al punto che un’area specifica del nostro cervello è addetta solamente al riconoscimento dei volti, e al punto che anche in una macchia insignificante non possiamo non riconoscere un viso che ci osserva; dall’altro lato guardare un viso è un’esperienza difficile, perché esso ci sfugge e ci appare ogni volta diverso in ogni suo particolare.
Guardare un volto, coglierne l’aspetto, è un’esperienza che somiglia a quella di una scoperta, di una invenzione continua da parte di chi guarda. Osservare un volto è ardimentoso e insieme appagante, perché ogni elemento dell’insieme pare sfuggire continuamente e la visione lancia una sfida alla nostra immaginazione coraggiosa: si tratta di una catastrofe percettiva, una trasformazione perenne della forma, una rielaborazione in fieri in cui è proprio il mutamento a far venire alla luce la forma stessa. Perché la forma del volto è organizzazione complessiva, non insieme di dettagli, è una fisionomia, una configurazione di senso irriducibile a particolari singoli. Sia quando guardiamo un viso a noi nuovo, sia quando guardiamo il viso a noi più familiare, ciò che cogliamo è che esso ci si mostra di volta in volta sempre differente.
Il che vale anche per il nostro di viso. Che ci appare sempre mutevole, se lo interroghiamo allo specchio o in un’immagine fotografica o in un ritratto pittorico, come se si lasciasse sfuggire ogni volta un’anima nuova che pure appartiene a noi e che, pur nella diversità, ci rappresenta sempre.
Alle Donne che qui sono immortalate il fotografo ha chiesto, prima di eseguire gli scatti, di mostrare, nel volto, la parte di sé che avrebbero voluto ‘interpretare’. Perché è nel tentativo autocosciente di uscire da sé che forse è possibile rintracciare quella particola inconsapevole e autentica della propria identità interiore. Alcune Donne qui ritratte si sono divertite a impersonare figure femminili lontane da sé, eroine di un sogno, altre si sono piacevolmente smarrite nella ricerca della propria identità visiva, altre ancora, insospettabilmente, come la sottoscritta, hanno riconosciuto se stesse.


Luoghi

  • Galleria Studio - Via Bandiera, 11 - Palermo
             091583893

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