23/02/2018  al 08/04/2018

Murmures, sussurri, mormorii.

A cura di: Domenico Iaracà

Murmures, sussurri, mormorii.
 Sei artiste, Silvia Beccaria, Tonina Cecchetti, Silvia Granata, Mirna Manni, Sabine Pagliarulo, Simona Poncia, si ritrovano in maniera sorprendente intorno ad un progetto il cui oggetto di ricerca è riassunto dal significativo titolo di Murmures, sussurri, mormorii.  
 
Murmures. Il delicato equilibrio della parola
 
In Aristotele la virtù implica la giusta proporzione, che è la via di mezzo fra i due eccessi”.
 G. REALE, Storia della filosofia antica, Milano 1979
 
Specchio ribaltato di una realtà in cui la comunicazione, pubblica e privata, è sempre più assordante, sei artiste si ritrovano sorprendentemente intorno ad un progetto dal significativo titolo di Murmures, sussurri. Quasi a reinterpretare il concetto aristotelico di virtù, le artiste cercano infatti di trovare il punto di equilibrio, un antidoto all'incomunicabilità, sia essa dovuta al rumore eccessivo che la ostacola o alla chiusura che, all'opposto, la nega. Mezzo di condivisione scelto è il linguaggio dell'arte: seguendo codici personali, coerenti seppur mai uguali anche all'interno di ogni singola ricerca, ciascuna artista dà voce al proprio intimo facendo uso dei mezzi che le risultano più congeniali.
Le fotografie di Simona Poncia sono momenti di vita quotidiana in cui coppie, affrontate in angoli appartati, ritrovano la loro intimità, o bambini felici colti nei momenti dei giochi, lasciando così al brillare degli occhi l'espressione silenziosa della loro gioia. Immagini che fissano momenti della nostra vita in cui la comunicazione, prima accennata e ricercata con fatica, finalmente raggiunge la sua realizzazione vincendo il frastuono circostante. Proprio a capovolgere le regole della comunicazione gridata che ci circonda, l'artista propone scatti in cui il messaggio è tanto più significativo perchè privo del suono a cui siamo portati ad associarlo in maniera esclusiva
Ed il colore stesso sembra partecipare alla costruzione di questo percorso: in contrapposizione alla ricca tavolozza presente in natura, le foto si concentrano su un numero ristretto di colori, talvolta il solo bianco e nero o, al massimo, pochi altri tocchi.
I Sedimenti s’incavano nel corpo sensibile di Mirna Manni sono figure di cui riusciamo a cogliere il vissuto. Ogni singola esperienza è infatti tale da lasciare traccia in ciascuno di noi e sono questi vissuti, e le relative sedimentazioni, a formarci così come siamo e dare un senso, talvolta diverso, alle parole che utilizziamo. Specchio della differenza dei vissuti, queste sculture finiscono per esserlo pure del linguaggio che noi tutti crediamo di condividere.
Ma l’Arte punta all’universalità del messaggio e Corporeitas incarna ciò che l’artista definisce “la disperazione di una realtà che è della nostra epoca e che stravolge valori, tratti distintivi dell’essere e dell’umanità intera”; due busti ripiegati su se stessi, su colonne instabili, metafore della condizione umana, dalle superfici tormentate ed erose.
Altrettanto evocativo è poi Cosmi di attesa, grandi forme che materializzano quasi la riflessione che precede l'azione del parlare. La loro forma sembra a prima vista destinata a un percorso chiuso se non fosse per l'apice che, formalmente e idealmente, risolve la composizione.
            Un apice nei bozzoli di Mirna Manni, un’apertura che è quasi una frattura, nei lavori di Sabine Pagliarulo: le pulsazioni vitali presenti all'interno trovano una via verso l’esterno, una vita che nasce, una parola che acquista significato. I pezzi lasciano trasparire i colori naturali delle terre quasi a limitare l’intervento dell’artista al solo gesto di ricostruire il ruolo della Natura: dall'azione in potenza al compimento, le opere in mostra rappresentano un intero percorso affidato alla metafora del ciclo vitale di forme organiche. Poco importa che si tratti di elementi vegetali o animali, evidente è il dischiudersi del guscio, difesa dell’essere, e il suo aprirsi alla vita: pulsazioni interne rompono e quasi irrompono verso l'esterno; i gusci frammentati sono prova di un'azione ormai conclusa, messaggi silenziosi di un lungo lavorio. In Tous les mots pour le dire i singoli elementi in ceramica sono invece portatori di un messaggio ciascuno. Plasmati con il materiale che avanza al fine della realizzazione di opere diverse della non breve ricerca dell'artista, sono necessariamente composti da terre diverse. Foglie - o fogli? - accartocciate, ciascuno di esse è prova della difficoltà del comunicare, minute che restano sul tavolo al termine della stesura di un testo, non casuale, in cui si scrive e si riscrive, si corregge e si cerca la parola più adatta, si lavora e si riparte di nuovo cercando, appunto, tutte le parole per dirlo.
Con codici del tutto personali, Silvia Beccaria fa invece uso della tessitura per predisporre arazzi di una inconsueta leggerezza.
Per la prima volta nel percorso delle artiste in mostra, la parola e il tessere testi assumono qui una sfumatura negativa, quasi di condanna a cui l'Uomo è sottoposto per aver osato sfidare la divinità, ovvero nella presa di coscienza della difficoltà, della fatica dell’atto di comunicare accostata alla fatica del tessere.
In una operazione che amplifica esponenzialmente il meccanismo insito nel parlare, nella ricerca dell'artista la lingua letteraria ha un ruolo centrale. La tessitura interpreta il lavoro di pianificazione del testo e, per di più, brani letterari che trattano del parlare, in un gioco di scatole cinesi in cui il modo di esprimersi  è un continuo lavoro di lima ad opera dello scrittore.
            Questo aspetto lo avvicina al lavoro di Silvia Granata in cui il paziente lavoro di lima, in ogni  singolo elemento, è filo conduttore delle sue installazioni.
In una ricerca in cui è assente la figura umana, la comunicazione avviene con un mezzo differente: 23 è un'installazione composta da più elementi di porcellana colorata in pasta e dalla superficie sfaccettata. Difficilmente definibile ad una prima lettura, il titolo costituisce un tentativo di definizione arrivando a quantificare il peso in grammi di ogni elemento. Ma per quanto simili fra di loro, gli elementi rimandano ad un numero primo, indivisibile, quasi una dichiarazione di individualità. In ogni fase della ricerca dell’artista tratto distintivo è la presenza costante di una pluralità di elementi in relazione fra loro. Sta nel rapporto alla pari tra materiali diversi, nella maggiore o minore distanza sui supporti la chiave di lettura di queste opere in cui, paradossalmente, il messaggio non riposa in quanto creato dall'artista ma semmai è rispecchiato dallo spazio vuoto: sono le maggiori o minori distanze tra le persone, l'equilibrio tra ciascun individuo della collettività, le dinamiche relazionali che intercorrono all’interno di queste.
            E poi Tonina Cecchetti in cui il tema della comunicazione è anche il fil rouge per una scelta di opere che ne illustrano la gradazione, dalla sospensione del silenzio fino ai messaggi più forti, ad esempio quelli che pur senza parole collegano una madre al bambino. Figure umane o le loro parti essenziali, in una realizzazione a tratti straniante in cui il corpo umano è di volta in volta privato di alcune membra, anche quelle fondamentali quali il capo. Lo splendore dell'oro o il bianco, il colore riservato alla purezza nella cultura dalle radici giudaico-cristiane, un insieme di codici culturalmente connotati o, all'opposto, universalmente condivisi come quello di un abbraccio, in una scultura che, solo perché gode dei privilegi dei codici dell'arte, riesce a rendere il gesto e amplificarne la portata in una figura inaspettatamente priva di braccia.
 
            Lo spazio scelto non è casuale: quasi un ossimoro esso stesso. Il monumento si presenta come un esempio di silenzio gravido di parole o vere e proprie storie che narrano i secoli di vita dell'edificio. Sembra impersonare l'attitudine al sussurrare ritratta dalle artiste: al margine di una grande città caotica fin dall'antichità, tra il fragore della sua vita e il silenzio riposante del Parco della via Appia antica, le Mura sono tacito testimone della caducità degli imperi e del nostalgico tentativo di restaurarli, di una lingua e una cultura che, seppur con l’uso delle armi, aveva unito molti territori. E non è quindi un caso se il termine francese murmures trova nel  latino murmures un perfetto omografo.
 Domenico Iaracà
 
 
 
 
 
 
 

Luoghi

  • Museo delle Mura - Via di Porta San Sebastiano, 18 - Roma
              060608

    ORARI: da martedì a domenica 9.00-14.00. La biglietteria chiude mezz’ora prima

  • Categorie correlate