04/12/2017  al 16/01/2018

Lorenza Morandotti "Transformazioni"

A cura di: Chiara Gatti - testi di Roberto Borghi, Donatella Airoldi

Lorenza Morandotti  "Transformazioni"
In mostra opere e installazioni (materiali privilegiati porcellana e pietra) di una ricerca che tenta di connettere il significato metaforico della metamorfosi dell'umile terra con la parte più intima dei cambiamenti personali attraverso un uso consapevole e spesso azzardato delle tecniche di lavorazione. 
 
Corpi fluidi e altri archetipi
Chiara Gatti
 
La scelta di Italo Calvino come custode di questo volume e delle sue parole tratte da un classico del Novecento, Lezioni americane, si spiega facendo scorrere le opere di Lorenza Morandotti1
Il concetto di leggerezza calviniana vibra in sottotraccia a ogni scultura nei cicli delle “anime”, delle “terre lievi” o delle “zolle”. È il comune denominatore di immagini che portano con sé l'idea arcaica di un'anima fluida preservata all'interno di ogni materia del creato; dalla roccia al corpo stesso degli esseri umani.
Quando Calvino parla di “poesia del nulla” nata da un “poeta che non ha dubbi sulla fisicità del mondo” si riferisce alla teoria degli atomi di Lucrezio, alla sua ipotesi della pioggia di particelle che, incrociandosi nell'etere, generano forme e volumi solidi. La vita, per il grande filosofo latino, prende sostanza dall'invisibile. La consistenza nasce dall'immateriale. Pare un ossimoro, ma è il miracolo dell'esistenza. Inseguendo questo prodigio, Lorenza Morandotti ha cominciato a rastrellare universi silvestri, cacciatrice di pietre dal passato lontano sedimentato in strati minerali. Con istinto rupestre ha trovato stele dall'energia apotropaica, piantate nel suolo, pilastri della terra o anelli di congiunzione fra primitivo e contemporaneo. Li ha selezionati leggendo il loro destino nelle scaglie della selce e osservando la fattura di ogni spigolo e ogni sinuosità come uno sciamano farebbe con il fuoco e gli incensi, o come gli antichi aruspici etruschi facevano col fegato degli agnelli.
Lorenza ha esplorato le origini del suolo vergine prima di estrarne un succo primordiale. Nelle sue sculture, che mescolano archeologia e astrattismo, emerge uno sguardo colto verso la famosa letteratura del primitivo e del tribale che ha segnato storia dell'arte del Novecento, da Brâncuși a Moore. Le sue prime “donne della terra”, modellate e frizionate nel grès, sono figure dalla statura solenne, icone votive che sembrano emerse da una necropoli, manufatti plasmati con la tecnica cara ai sumeri, squadrando le forme con tagli netti e simmetrie perfette2.
Davanti a questi idoli tutelari comincia la devozione di Lorenza Morandotti verso riti e miti dal valore antropologico. Il gesto lento delle sue mani al tornio sposa un cerimoniale votato alle potenzialità espressive delle materie. Gli “snesc” e i “punti essenziali” manifestano subito la propria indole germinante. Crescono e si schiudono come valve. Sono strane strutture organiche o minerali. Sono archètipi formativi, generatori di motivi plastici. L'astrazione di Lorenza non può fare a meno di un principio vitale, di un progenitore biologico. Dall'osservazione delle leggi della natura e dalle tracce che l'uomo ha lasciato nella natura stessa, incontaminata, sboccia la sua riflessione sulla forma come esito di una doppia azione: da un lato, l'impulso dinamico contenuto nei meandri della terra, lo sforzo costruttivo del cosmo; dall'altro, il passaggio degli antenati che via hanno lasciato un segno, l'impronta di un culto ancestrale.
Ma attenzione: negli spaccati geologici, nella stratigrafia tettonica delle “anime in viaggio” e delle “transformazioni” ciò che emerge, oltre a un messaggio di comunione col creato e agli umori di una storia universale, è l'esigenza da parte dell'artista e del suo rigore di trovare una legge, il teorema che regola la nascita della composizione esatta. Non a caso, Calvino dedicò all'esattezza un altro capitolo delle sue “lezioni”. Fisica e imprevisto, logica e poesia, peso e levità. Coppie di opposti congiunti in armonia disciplinano l'indagine di Lorenza Morandotti, sedotta dagli stessi segreti della visione che hanno nutrito il pensiero calviniano sul De rerum natura e che ora orientano lei nel suo lungo viaggio alle radici dell'essere. L'antidoto al fardello della massa, alla gravità, all'inerzia del mondo, sta nella ricerca ossessiva del respiro chiuso dentro il nocciolo di ogni corpo solido.
E ancora bisogna scavare nelle tradizioni etnografiche d'epoca remota per comprendere a fondo l'opera di Lorenza. I temi del “corpo astrale”o del “corpo fluidico” ricorrevano per esempio nelle credenze di molti popoli fedeli a un'idea di anima fluttuante, in grado di allontanarsi dalla carne durante il sonno per distaccarsene definitivamente con la morte. Dall'antico Egitto al Tibet, dalle civiltà dell'Africa australe alla Nuova Guinea fino all'arcipelago di Taiti: tanti hanno condiviso un'immagine univoca del nostro spirito. Gli indiani kwakiutl – narrava Jean Servier – tentarono di descrivere la sostanza dell'anima attraverso un gioco di metafore: «corpi senza vita, senza vene né sangue, che ondeggiano, scivolano come l'ombra, e ciò nonostante abitano l'uomo»3. Le parole dell'etnologo francese possono descrivere meglio di qualsiasi altro testo il senso delle “transformazioni” di Lorenza Morandotti. «L'uomo sa di avere un'anima, principio invisibile e origine della vita, venuto da un luogo estraneo alla terra. Questo non è un atto di fede gratuito, formulato di tempo in tempo da intellettuali disoccupati, ma una credenza precisa che spiega il comportamento dell'uomo, condiziona le sue tecniche e resta sempre identico a se stesso nella scelta di simboli usati per esprimerlo, da un'estremità all'altra del tempo e dello spazio»4.
Il “simbolo” che sceglie Morandotti è quello della foglia; gemma vegetale, alito arboreo trasfigurato nel soffio bianco, nel sospiro algido che fluisce libero dal cratere delle sue rocce erose nei secoli. Allegoria di una energia che palpita nel cuore della terra, in quella camera d'ossigeno, cavità tellurica e vuoto concreto che – in linea con la filosofia orientale – è tutt'altro che inconsistente. È lo spazio dove si intrecciano i corpuscoli di Lucrezio, la bolla d'aria, la nicchia impressa nel bronzo, nel Vuoto al centro di Lorenza Morandotti, il luogo dell'invisibile, pieno di vita e denso di significato.
 
 

1     Calvino Italo, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Milano, 1993.
2     Cfr. Welcker Carola Giedon, Contemporary Sculpture, an Evolution in Volume and Space, New York, 1960.
3              Servier Jean, L'uomo e l'invisibile, Milano, 1973, p. 105.
4              Servier Jean, op. cit., 1973, p. 103; per un approfondimento di veda anche il testo storico Bozzano Ernesto, Popoli primitivi e manifestazioni supernormali, Milano, Roma, 1953.
 
TRANSITI
Roberto Borghi
 
Lorenza Morandotti ha un debole per i titoli: delle sue opere così come delle sue mostre. A essere precisi il debole è per l’alterazione dei titoli, per la modificazione delle espressioni idiomatiche o delle singole, emblematiche parole di cui sono composti, e per lo slittamento semantico che tali mutamenti comportano. Nel caso di Transformazioni l’aggiunta di una n conferisce un senso di movimento alle formazioni, alle generazioni di forme che sono all’origine delle sculture. Sì, ma verso dove si muovono queste forme? Qual è insomma la meta del loro transito
Certo, non possiamo ignorare che l’idea del viaggio in sé – una sorta di viaggio assoluto, un moto appagato dal puro muoversi – è alla radice di molta arte contemporanea, e per certi versi anche di quella di Lorenza; e che il significato della parola viaggio, come afferma nettamente il suo etimo, sta nella via e non prevede di necessità la meta. E nemmeno possiamo trascurare il fatto che le opere sono scaturite anche da molti viaggi dell’artista in luoghi – che spaziano dalla Val Chiavenna al deserto del Sahara – dai quali ha tratto terre, pietre o anche solo ispirazione. Però queste sculture transformate sembrano percorrere un itinerario preciso che ha un’andata, un ritorno e viceversa. I poli di tale oscillazione sono enucleati nei frammenti delle Lezioni americane di Italo Calvino posti in epigrafe alla pubblicazione: si tratta della poesia, cioè di quanto di più astratto e di immateriale, e della fisicità, della pesantezza del mondo e del segreto della sua leggerezza. Oppure forse non sono le opere a muoversi: è il nostro sguardo che non riesce a stare fermo, a non fluttuare, osservando le sculture, tra la percezione della gravità e la tensione alla leggerezza.
 
Sfiorare le pietre e ascoltare il mondo che gira
Donatella Airoldi
 
Lorenza Morandotti ricerca nell’arte una filosofia di pensiero in cui i piani risultano ribaltati, la pietra è lo scenario del mondo e noi diventiamo piccole declinazioni di visuali impercettibili. Sollevare pietre grigie che scorrono alla foce dei fiori, toccarle e smarrirle plaudendo a ceramiche opache. Scegliere ogni pietra sconosciuta, ascoltare il suo respiro e alloggiarla nella propria dimensione anteponendo ogni marcato particolare alla sottigliezza visiva.
In mostra un’installazione dove esili porcellane su ruvide pietre, destini su destini, immobilità di superiore potenza si scherniscono alla luce fingendo di nascondersi nel bosco fitto di giacimenti pesanti in cui si stringono, si avvicinano per allontanarsi poi senza mai indietreggiare. Atmosfere sospese e prospettive rovesciate, visioni post-metafisiche congelate nella loro forse eterna atemporalità.
Guardi il tuo ombelico appeso a una parete, Lorenza Morandotti ti scruta con il suo sistema percettivo, viscere increspate tormentano piccole fessure intelaiate di scuro e ognuno riconosce il proprio vortice visivo. Opere apparentemente silenti che insieme, ravvicinate, diventano interpreti assolute di accostamenti rischiosi e improbabili.
A volte sono nuvole bianche, materia celeste che si cuoce ad altissime temperature e che diventa materia cristallina come neve gelida fermata nel tempo.
Ma nel bianco trovi ogni vuoto.
Sono materia opaca che fluttua e condensa in piccole piegature la tridimensionalità. 
Sulle nuvole, nella loro gelida fissità del tempo, potresti spiccare voli acrobatici e silenziosamente infrangere le regole della gravità, sapendo che la vita è fragile come ogni purezza soffiata via.
Altre volte sono lame di un fuoco che si accende a fatica, fiamme pudiche ritirate dal freddo, come quando spinge per entrare anche se ne hai sbarrato ogni accesso.
Ma poi senti che il fuoco avvinghia ogni cosa e sprigiona una forza interiore che sospinge e rialza la fuoriuscita di giganti sconfinati e dimentichi.
Fiamme che riescono finalmente a trovare una propria ferma estatica forma in una dinamicità quasi spasmodica che è sempre presente nell’eterna contrapposizione degli opposti.
Ognuno di noi è nessuno.
Sculture trasparenti di sole, permeate di eleganza pura.
 
 

Luoghi

  • Quintocortile - Viale Bligny, 42 - 20136 Milano
             02 58102441     338. 800. 7617

    orario:mar, mer, ven 17.15-19.15, giovedì su appuntamento - ingresso libero

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