CARLO LAURICELLA: purificazione rituale
Cos'è dunque il tempo? Se nessuno mi interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi mi interroga, non lo so. Questo però posso dire con fiducia di sapere: senza nulla che passi, non esisterebbe un tempo passato; senza nulla che venga, non esisterebbe un tempo futuro; senza nulla che esista, non esisterebbe un tempo presente. Agostino, Confessioni, XIV, 17 La realtà oggettiva del tempo e la sua architettura multiforme e variamente stratificata, al cui interno l'artista, educato con la pratica del superamento e dello sconfinamento a guardare oltre, può cogliere l'occasione per conoscere il mondo e attraverso il mondo se stesso, è materia complessa e ambigua. Il tempo non si vede né si sente. Non si tocca, né odora o assaggia. È invisibile e impercettibile, eppure sembra reggere misteriosamente tutta l'esistenza. Si limita a scorrere inesorabilmente, modificando le cose e gli esseri senza che l'estrema visibilità dei suoi effetti possa aiutare a svelarne definitivamente l'ambiguità. Carlo Lauricella, recuperando consapevolmente i segreti di una sapienza antica, ha lavorato intorno all'idea che l'arte possa offrire all'uomo l'opportunità di esorcizzare la precarietà della propria esistenza rispetto all'incommensurabile assolutezza del tempo. Nasce, così, una installazione di grande fascino. Il pavimento è completamente ricoperto di sale, l'ambiente è invaso da acque virtuali, sulla cui superficie si riflettono le ombre mobili di nubi multiformi, l'immagine di un uomo galleggia nello spazio a esemplificare un bagno rituale di purificazione, di rigenerazione, di ritorno a nuova vita per infrangere, così, l'inevitabile e irreversibile scorrere del tempo e ritrovare l'armonia di un ritmo panico che tutto giustifica e tutto connette. Con un linguaggio suggestivo, in cui la poesia si mescola indissolubilmente alla tecnologia, l'artista analizza l'idea complessa della manifestazione del tempo e, soprattutto, della primigenia ritualità legata alla sua inarrestabile ciclicità. Ma lo fa con una ricercata e disarmante elementarità, tanto che tutto appare naturale, semplice. Con un linguaggio originale e affabulatorio riesce, infatti, a comunicare in modo sorprendentemente piano la complessità di eventi non comprensibili a tutti.
L'arte, intesa come pratica solitaria di ritualità iniziatica, permette, infatti, di sconfiggere l'irreversibilità del tempo. Annulla l'inconciliabile dualità tra la durata finita, ciclica e inarrestabile, dell'esistenza e il tempo dell'eternità, non riducibile a misurazioni. Infrange il tempo storico, la fragilità della vita, la vanità delle cose, la complessità degli eventi percepiti, per proporre una rituale rigenerazione, in cui attraverso una ripetizione ad infinitum di determinati archetipi e gesti esemplari il tempo diventa senza tempo, così che l'uomo possa riuscire a conoscere e accettarne lo svolgersi fino nelle sue più contraddittorie manifestazioni. L'opera d'arte si pone, allora, come materializzazione della possibilità di aprire un varco nell'asfittica provvisorietà della vita quotidiana. Un varco che permetta di andare oltre e, dopo aver infranto l'impermeabile realtà di ogni giorno, di aggirare la granitica frontalità delle cose, di superare con uno scarto improvviso la fragilità inerte del quotidiano, di lacerare l'orizzontalità del reale per accedere a una realtà altra. Una realtà in cui l'uomo strappato dal proprio tempo, individuale, storico, cronologico, è proiettato, sia pure simbolicamente, in una dimensione in cui, annullato lo scorrere del tempo, è possibile comprendere l'inesplicabile eterno fluire dell'esistenza, con la sua incalzante alternanza di vita-morte-vita, e scoprire le leggi eterne che ne regolano l'irreversibile ciclicità. L'arte diventa, quindi, uno strumento di conoscenza di sé e del mondo, anzi lo strumento privilegiato di conoscenza, che permette il superamento delle effimere apparenze per comprendere l'incomprensibile articolazione del quotidiano.