27/10/2016  al 03/12/2016

L'arte di forzare i maestri

L'arte di forzare i maestri
 
Nell’epoca dell’intensificarsi di fenomeni estremistici (di natura intellettuale prima, politica poi), la figura del maestro appare come un porto sereno. Per via della sua figura, riconducibile ad una tradizione. E per la certezza degli insegnamenti. Non si veda in questo, una supina accettazione di ogni principio passato all’allievo. Ma una fonte di speranza. In fondo, gli ultimi anni, sono stati privi di una sicurezza che abbia basi passate. Ogni fondamento, sino al dettaglio, appare minato. Alle volte stravolto per sola voce di popolo. Senza una prova concreta e basandosi sulla volontà di cambiare a discapito di ogni principio omogeneo. Una parola, senza dubbio, risalta sopra le altre, forzare. Presa a prestito da una frase di Francis Haskell: “per conservare vivi e funzionanti i nostri rapporti con gli antichi maestri, in ultima analisi, è necessario forzarli.”, assume peso se rapportata, alle tensioni, soprattutto politiche e in parte finanziarie, attuali. Rimanendo nell’arte, nel nostro caso, contemporanea, se ne potrebbero dire di varie. Se non, per usare un termine gergale, “di ogni”. Ma rimanendo lucidi e ritornando al tema dell’esposizione, trovo utile soffermarmi sui tre livelli che vengono affrontati. In prima analisi il rapporto diretto, anche figurativo, con una storia precisa. È il caso del lavoro di Silvia Idili e della sua ricerca, che assume l’aspetto di angoli di realtà o di visioni dirette di volti, corpi, fluttuazione di personaggi spesso in una dimensione per metà diurna (dove il verde si fa osservare) e per il restante notturna (il nero della notte o della perdita di profondità), che si identifica come un limite indefinito nell’assenza di punti di riferimento. Se si volesse mantenere una forma, si dovrebbe ragionare sul suo cambiamento di indirizzo semantico. È il caso del lavoro di Artsiom Parchynski, che spesso, nella sua carriera, ha lavorato interrogandosi sul corpo e sulle sue propaggini fisiche e metafisiche. L’ultimo è proprio il livello degli elementi instabili e sul loro rapporto con l’eterno. In Adi Haxhiaj c’è non solo la perdita di un medium certo ma l’utilizzo di una pittura che sembra sfuggire alla sua destinazione ed in parte sembra voler rispondere alla domanda di Martin Heidegger “Perché l’essere piuttosto che il nulla?”. 

Testo a cura di Alessio Moitre
L’esposizione è inserita all’interno del circuito off del progetto Nesxt (www.nesxt.org).  

Luoghi

  • Galleria Moitre - Via Santa Giulia, 37 bis - 10121 Torino
             338 1426301

    dal martedì al sabato, dalle 15 alle 19

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