09/04/2013  al 01/06/2013

Francesco Ardini. Circe

A cura di: Alessandro Turci

Francesco Ardini. Circe

Tra virtuale e reale restiamo intrappolati in un incanto tecnologico che come il sortilegio di Circe ci tramuta in ciò che veramente siamo. L’ambiente domestico rappresentato da suppellettili in ceramica bianca ci ricorda la nostra provenienza dal rassicurante mondo conosciuto in cui viviamo e interagiamo. Non siamo in presenza né di metafore né di simboli ma di comuni oggetti consumati con ossessione bulimica, con la stessa maniacale facilità con cui ci appropriamo della loro immagine. Tablet ed i-phone sono le nostre attuali protesi tecnologiche, amplificano le nostre percezioni tramite un portale di infinite informazioni e possibilità. Il piatto bianco “Incanto” appeso alla parete non ha in realtà decori ma virtuali e sempre diverse combinazioni che il fruitore comporrà tra fiori e farfalle colorate visibili in un vortice fantasmagorico attraverso il tablet. Ironica considerazione di quanto desueta possa essere la classica decorazione del manufatto in ceramica soprattutto in rapporto all’esasperata velocità del progresso tecnologico. “Offerta” è tributo altrettanto sacro come quello dedicato a Circe: candido tripudio di frutti e i-phone anch’essi accomunati al cibo di cui ci nutriamo, poggiati su un tablet in ceramica dorata come un vassoio votivo. 

Trecento piatti sono al centro del Convivio luogo in cui Circe si compiaceva dei suoi malefici mutando gli ospiti in animali diversi a seconda del carattere di ciascuno. Qui i resti del banchetto sono impilati alla rinfusa testimoni di altrettante mutazioni, eredi di un decadente fascino ormai abbandonato ad una mutazione virale e virtuale che non lascia altra via se non quella di una nuova e ripensata interpretazione. Poggiate o sospese tra due ambigue realtà le proliferazioni virali si accendono minacciose di un blu sintetico com’è nella natura di alcune specie animali o vegetali a presagire il pericolo ed al contempo la fatale conclamata attrazione. Staticamente riposte nella teca del “Megaron” come fasi riscontrabili di un processo naturale ed inevitabile tra la purezza incontaminata degli oggetti bianchi sino alla decomposizione e totale sopraffazione. Il fulcro del fenomeno, focus determinante di stabilità è privo di ulteriori possibilità multimediali inerte si erge a simulacro dell’avvenuto cambiamento. Protetto da una teca come reperto di archeologia dell’arte si lascia esaminare nel dettaglio ad un’attenta considerazione che saprà suscitare interesse e rispetto in una dolorosa quanto inevitabile metamorfosi. 



Luoghi

  • Jerome Zodo Contemporary - Via Lambro, 7 - Milano
             02 20241935     02 20244861

    orario: Lun-ven 10 - 19 Ingresso libero

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