09/10/2010  al 28/11/2010

Françoise Calcagno - Mnemotecniche

Françoise Calcagno - Mnemotecniche

Françoise Calcagno
Mnemotecniche

A cura di Francesca Brandes

Opening: sabato 9 ottobre 2010 ore 17:00
Dal 9 ottobre al 28 novembre
Ven-sab-dom dalle 15.30 - 19.30
È il lacaniano senso bianco del reale, il mistero dell’inconscio che emerge alla realtà dei fenomeni, a toccarmi per primo. Persino nei
rossi infuocati, nei viola generosi. Un che di fragile ed invulnerabile ad un tempo, selettivo e frammentario, camaleontico e sfuggente:
nelle “tele della memoria” di Françoise Calcagno, esiste qualcosa d’impossibile da dimenticare e faticoso da ricordare. Qualcosa che è
conformazione dell’essere nella sua sostanza, un aut-aut senza sosta e senza soluzione di continuità. Quello di Françoise è un vero
esercizio spirituale, un’immersione catartica. Dall’azione al quadro e viceversa, l’idea fuoriesce dai confini della tela, in un progetto di
vita organico e dinamico.
La registrazione del tempo vissuto non possiede, in queste opere, nulla di consolatorio, di estetizzante o di riepilogativo. Non è rivolta
all’indietro. La memoria è qui, al contrario, lo strumento per mezzo del quale ciò che si sceglie di ricordare, di conservare e di riscrivere,
è in sostanza l’argomento di un’intelligenza, di un’idea futura. Calcagno ha individuato – nell’esercizio del processo memoriale, attivato
con molti espedienti – il luogo di un’ermeneutica vitale che non può risolversi nell’esistente, ma che all’esistente ritorna, presupponendo
tuttavia un diverso ordine di valori. Si tratta di un salto contenutistico importante, evidenziato via via nel corso degli anni nella Mappa di
Françoise, in cui i significati del mondo si pongono come interrogativi suggestivi ed ineludibili. C’è essenza e c’è sorpresa,
nell’immagine sbiadita e ritrovata, dal senso bianco all’incandescenza cromatica di alcune tele; un’ispirata visionarietà nei lattescenti
scenari carichi di pudore ed eleganza. L’artista appartiene e vive, contemporaneamente, sradicata. Il tempo di Calcagno non fugge, la
sua memoria è durata, sia pur pervasa da inquietudine e nostalgia. Non è dato all’Io che ricorda un valore assoluto, anzi. Ciò che conta
è la mediazione relazionale, l’individuare il legame che diviene senso della realtà di ciascuno. Il fare dell’artista (che è azione fondante
dell’oggi) possiede in queste opere una solida radice percettiva: tutto il passato esiste, in atto o in potenza, nello stato vitale di chi crea.
In tal modo, la tecnica che Françoise adotta è sostanziale e vivida, perché rappresenta l’emergere dell’intenzionalità, la volontà che da
sempre Calcagno rivolge a curare le ferite di ogni mondo, per indagarne la bellezza ed il fine.
Dall’attenzione ai materiali (difficile non ricordare la splendida serie dei Legni) che diviene cronaca dei luoghi, al tema del viaggio – in
un sontuoso e caldo vibrato tra Occidente ed Oriente – fino a quell’approdo in sé (nel ciclo, o meglio nei cicli della Mappa della
Memoria), tanto cosciente quanto sensitivo: quest’arte rivela permanenze fondamentali, nello spazio e nel tempo, coniugate in ogni
possibile variazione. In quello spazio sospeso, che conosce il dubbio, l’assenza, il dolore, Françoise lavora per emergenze connesse,
isolando significati che hanno il sapore della conquista, per correnti preziose, per echi: la sua mi appare come metabolè, una magica
reversione temporale. Così, e solo così, l’attività del rappresentare si riappropria di una sua specifica dimensione fenomenologica; è,
allo stesso modo, costruzione di un’immagine (laddove, per “costruzione” s’intende la comprensione, la selezione e l’organizzazione di
ciò che emerge in superficie) e ricostruzione (intesa come l’intervento che l’artista pone per recuperare il calore di un tempo che si
riattualizza). Di questo collegamento costruttivo-ricostruttivo, capace d’integrare il passato e riconnetterlo alla vita di tutti, la memoria
diventa funzione. Per questa via, l’artista può raggiungere il senso delle proprie radici, il senso di ciò che si è apparentemente perduto,
o si rivela con altre forme. In breve, il senso del mondo.
Il modo in cui Françoise opera, in assoluta lucidità formale, con rigorosa naturalezza, potrebbe essere definito una sorta di estetica del
vuoto necessario. L’esaltazione del frammento, del particolare saliente (l’angolo di una fotografia sbiadita, grafìe calde e private, la
trama di un pizzo intrappolato nella tinta materica) è ottenuta senza priorità gerarchiche, ma piuttosto tramite l’isolamento cromatico, o
con scorci diversificati, talvolta asimmetrici. Un preciso racconto visivo – l’apparente monocromo percorso da segni gestuali –
s’interrompe per lasciar emergere un’altra storia, un’immagine più lontana e misteriosa che diventa il vero polo d’attrazione dell’opera,
forse la chiave per comprendere la vicenda di superficie. A questo effetto si giunge attraverso un’organizzazione dello spazio in cui il
vuoto svolge una funzione catalizzatrice delle parti. Si può chiamarlo vuoto, oppure silenzio, pausa improvvisa e salvifica, scarto
creativo. Non si tratta certo di un vuoto del pensiero, bensì di un mezzo (forse involontario, e splendido) per far emergere la parte più
profonda del sé. Quello che rapisce, e stupisce è come tutto questo induca in chi osserva una reciprocità di attitudine, una rispondenza
d’indagine che fa appartenere a ciascuno la forza di quella volontà di memoria, che è volontà di domani possibili, volontà identitaria.
Parafrasando Bruno Schulz, potremmo aggiungere che l’arte giunge al cuore delle cose anticipando deduttivamente sulla base di
grandi e ardite abbreviazioni : l’opera di Françoise Calcagno anticipa la vita che vorremmo sentire nelle vene, e ne colma gli occhi.

Francesca Ruth Brandes

In occasione dell'inaugurazione verrà offerto un rinfresco di benvenuto

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