06/10/2018  al 08/12/2018

Flavio de Marco e Philippe Hurteau "Schermorama"

A cura di: Francesco Poli

Flavio de Marco e Philippe Hurteau "Schermorama" Schermorama è un progetto che nasce dall’incontro di due artisti, Flavio de Marco e Philippe Hurteau, che per vent’anni hanno svolto una ricerca parallela su una tematica comune: lo schermo del computer. 
La loro riflessione presenta aspetti differenti in cui la rappresentazione incrocia astrazione e figurazione, gesto e analisi, colore e monocromia, composizione e improvvisazione, in un’alternanza di immagini sempre relazionate con gli elementi caratteristici dello schermo.
La tecnologia è intesa sempre come strumento necessario ad una nuova relazione con il reale, come orizzonte quotidiano di ridefinizione dello sguardo sulla realtà e come finestra da cui il mondo si riorganizza in tempo reale.
In mostra saranno presenti opere realizzate negli ultimi due anni di attività, di differente formato, accompagnate da un testo critico di Francesco Poli.
Galleria Studio G7 inaugura la propria stagione espositiva 2018/2019 con una esposizione che riflette una tematica fondamentale nell’arte contemporanea di oggi. Il progetto, condiviso con la gallerista francese Suzanne Tarasieve, si compirà con una seconda esposizione a Parigi nel 2020
----------------------------------------------------------------------------------
Philippe Hurteau e Flavio De Marco sono due artisti di età un po’ diversa e con percorsi indipendenti che hanno deciso di fare una mostra insieme. E questo perché entrambi, da anni, stanno lavorando su un fondamentale terreno comune di ricerca quanto mai stimolante e problematico, quello che ha a che fare con la ormai totalmente pervasiva esperienza virtuale della realtà che attraverso gli schermi dei computer ha radicalmente cambiato i parametri visivi e  mentali della nostra percezione e comprensione del mondo.
La loro operazione artistica ha come obiettivo di attuare, per quanto possibile, una spiazzante messa in prospettiva critica in grado di risemantizzare questo così fluttuante panorama di visioni immateriali. E lo hanno fatto innescando un  cortocircuito estetico fra lo schermo digitale e quello fisicamente ben concreto della più classica e pretecnologica forma di rappresentazione, vale a dire il quadro dipinto. E più precisamente il cortocircuito viene attivato attraverso una affascinante sfida apparentemente anacronistica: quella che contrappone la vertiginosa dinamicità dell’infinita sequenza di finestre della realtà virtuale alla statica e circoscritta dimensione della finestra della pittura.
Sia Hurteau che De Marco hanno sviluppato la loro ricerca a partire da una riflessione che istituisce un’analogia di fondo fra il quadro-finestra di cui parla Leon Battista Alberti (che aveva definito le condizioni di una nuova visione prospettica del mondo) con lo schermo rettangolare del computer.
Per De Marco quest’ultimo è l’attuale iperfinestra albertiana aperta sulle rappresentazioni del mondo, il contesto con cui si confrontano e si scontrano costantemente le sue investigazioni pittoriche.
Dal canto suo Hurteau, in un testo teorico molto approfondito (La peinture à l’age de l’écran, notes) scrive con paradossale e provocatoria acutezza: “La pittura all’epoca dello schermo digitale: una contraddizione in termini? Di fronte a un quadro sul muro, prendo in mano un telecomando ma l’immagine non si muove, il suo rettangolo non produce luce, si accontenterebbe di un po’ più di luce esterna. Questo schermo – monomedia – sembra inerte, muto: un oggetto comatoso”. E si chiede qual è l’avvenire del quadro: “Da una parte questo dipinto fisso per sempre, e dall’altra uno schermo interattivo e luminoso che può emanare potenzialmente un’infinità di immagini in movimento di un realismo allucinante. Da un lato questo oggetto/immagine appesantito da un passato glorioso, merce culturale altamente feticizzata; dall’altro questa carcassa di plastica nera brillante piena di tecnologia che finirà sul marciapiede come rifiuto quando sarà consumata… E tuttavia si rassomigliano…”
Di fronte alla dilagante forza d’urto dell’iconosfera televisiva e digitale la risposta della pittura potrebbe sembrar come un patetico tentativo di “evocare l’oceano in un bicchier d’acqua”. Ma la pittura può ancora controbattere i rischi di questa alienante e vuota freddezza tecnologica ponendosi radicalmente su un altro piano, proprio al polo opposto, attraverso uno scarto operativo basato sulla concentrazione di intensità estetica dell’immagine fissa realizzata fisicamente con una tecnica di diretta impronta artigianale ancora impregnata da valenze umanistiche e dei valori delle memoria culturale secolare.
I due artisti, con elaborazioni linguistiche e tematiche differenti, mettono in gioco nella loro pittura schemi grafici, effetti cromatici, icone, barre di comando, dispositivi semantici e elementi iconici prelevati dallo spazio virtuale elettronico, ma lo fanno riassorbendo e trasformando tutto ciò nella specifica dimensione dello spazio e della materia del quadro. In questo modo invitano l’osservatore a resistere alle fascinazioni più effimere di quelle visioni così evanescenti e transitorie della realtà, e lo stimolano a riconsiderarle da una prospettiva più meditata e approfondita.
È così che si produce il cortocircuito estetico di cui si è detto.
La forza della pittura sta proprio nella sua capacità di produrre immagini fisse facendole diventare (nei casi in cui l’originalità e la qualità sono all’altezza della situazione) degli straordinari e inesauribili generatori di nuovi sensi per chi le guarda con la dovuta attenzione.
I quadri di Hurteau esposti in questa mostra fanno parte di uno dei suoi più longevi cicli pittorici, quello degli Abscreen, iniziato nel 1997 e che dura tuttora. Questa serie si caratterizza per la presenza di tipici segni schemi e simboli grafici che animano gli schermi dei computer (barre di comando, “finestre”, freccette d’avvio di video ecc.) che interagiscono con stesure pittoriche che da un lato evocano cromatismi digitali e dall’altro rimandano a suggestioni connesse alla pittura informale, espressionista astratta e minimalista, ma non mancano riferimenti figurativi (sviluppati in modo specifico in altri cicli).
Va rilevato il fatto che questi quadri così apparentemente “painterly” hanno in effetti stesure cromatiche e riflessi luminosi piuttosto freddi (un po’ come i dipinti astratti “gestuali” di Richter) anche perché realizzati su dei supporti sintetici come gli specchi acrilici.  
Tra i lavori esposti ce n’è uno di un’altra serie, intitolato Refresh Window del 2018. In quest’opera, che riassume in sé tutta la riflessione concettuale e autoreferenziale della pittura (da Duchamp a Jasper Johns e Giulio Paolini), vediamo una tela rovesciata che ha in vista il telaio, su cui è sovrapposto, un dipinto un po’ più piccolo che rimanda allo schermo digitale.
De Marco ha messo in mostra una serie di “paesaggi”, tema privilegiato e ampiamente articolato. L’artista inizia a dipingere nel 1999 una serie di schermate di computer nere e grigie, strutture geometriche di cornici vuote, su tela, delle immagini minimali da vedere come paesaggi. Successivamente nei suoi schermi entrano in scena delle immagini di paesaggi ispirate da pubblicità e visioni turistiche. Qui il collegamento con la storia dell’arte avviene attraverso una variazione di elaborazioni pittoriche che rimandano a varie tecniche e stili delle tendenze moderne e contemporanee.
In queste immagini tutto è un surrogato: sono scene di luoghi ma sono anche e soprattutto paesaggi dei più disparati territori della pittura. In tutti questi dipinti, acrilici su tela, compaiono come elementi di contrappunto visivo e concettuale, i principali protagonisti della semantica grafica delle schermate digitali: barre verticali e orizzontali, finestre piccole e grandi, icone tipo quelle dei file, ecc.
Ecco qualche esempio fra i lavori esposti. Nel Paesaggio (Alitalia) c’è una stridente combinazione fra un fondo dipinto che sembra evocare un Rothko e la sovrapposizione di finestre digitali rettangolari di varia misura che ricordano il colore della compagnia e i finestrini dell’aereo ma anche vagamente un dipinto stile Peter Halley. Il Paesaggio (Wizz Air) ci mostra una scena dipinta con texture para-divisioniste, sormontata da due barre orizzontali una azzurra e l’altra viola. Una veduta ravvicinata di una sponda di fiume, dipinta in modo quasi impressionista ha una barra verticale grigia a destra, e tutta la superficie dello scorcio naturale è, per così dire, inzaccherata da piccole tracce di colori (rosse, gialle viola) forse petali di fiori che volano nell’aria o forse solo delle sbavature di pennelli.
Infine si può citare ancora un notevole Paesaggio con tavolozza dove una magmatica  miscela cromatica informale materica lascia vuoto un angolo del supporto dove spunta un rettangolino in forma di cartella di file.
Non bisogna lasciarsi ingannare dall’aspetto apparentemente “maldestro” di questa pittura. In realtà il gioco è piuttosto raffinato.
 
 

Luoghi

  • Galleria Studio G7 - Via Val D’aposa, 4/A - 40123 Bologna
             051 2960371

    Orario: dal martedì al sabato 15.30 - 19.30, mattina, lunedì e festivi per appuntamento.

  • Categorie correlate