16/12/2017  al 03/02/2018

Daniela d’Arielli "a’mare"

A cura di: Enzo De Leonibus

Daniela d’Arielli "a’mare"
Amare si pronuncia /a’mare/. 
A mare significa anche “trovarsi in mare”. 

Nella chimica del mare si intrecciano tutti i lavori che qui presento: due dipinti ricavati da una foto subacquea e venti stampe realizzate attraverso la tecnica della carta salata, che consiste nell’immergere un foglio in una soluzione di cloruro di sodio e successivamente in una di nitrato d’argento. Queste due sostanze, reagendo, producono il cloruro d’argento, sostanza instabile alla luce
Al cloruro di sodio ho sostituito l’acqua di mare (prelevata ad Acquabella, località sulla costa abruzzese nei pressi di Ortona, luogo di origine della mia famiglia), il mio sudore e le mie lacrime: tutte soluzioni saline. 
Il mare è simile al sudore del corpo, su mio corpo ho appoggiato la carta da stampare. 
Così l’acqua incontra la materialità del corpo e della fatica, come avviene nelle navi cargo. 
Il mare si fonde al sudore come il lavoro al denaro (che in forma cartacea è del resto chiamato “liquido”): è per questo che i bricchetti che sorreggono le fotografie così realizzate sono ricavati da banconote triturate. Banconote di colore verde come verdastra appariva l’acqua di Conakry in Nuova Guinea, dove le foto sono state scattate. 
Su questo elemento, liquido e onirico, l’oblò agisce come un passepartout, che delimita l’immagine e permette di custodirla. Così incorniciate, si portano con sé le foto dei cari racchiuse in un ciondolo. Il mio ciondolo è ricavato da un mytilus galloprovincialis contenente una piccola foto stampata utilizzando le mie lacrime. Esso stesso, frutto del mare e di esso depuratore, ha la forma di una goccia e mostra nel lato interno un piccolo specchio. 
Queste immagini nascono dal viaggio che ho effettuato nel 2013 per raggiungere Rio de Janeiro, ospite della galleria Graphos:Brasil e del curatore, Ricardo Luiz Duarte De Suouza, che aveva accettato la mia proposta di arrivare a Rio in nave considerando il periodo della traversata come parte della residenza. 
Unica donna in un equipaggio di ventisei persone e altri due passeggeri, sono partita da Le Havre a bordo della nave cargo Grande San Paolo e dopo diciotto giorni in mare sono sbarcata a Rio de Janeiro. Viaggiare su una nave cargo è un lavoro sulla perdita del controllo, una prova di resistenza. Il tempo si dilata e lo spazio si condensa in un determinato presente, che non è stato ieri e non sarà domani. Questa condizione di totale apertura permette di tuffarsi in una dimensione alterata, conturbante, inconscia. 
Una dimensione di luce e ombra, mistero e scoperta, memoria e sogno. 
Oltre l’oblò della mia cabina c’era il paesaggio marino: estraneo a ogni frontiera, fisso eppure eternamente mutevole. Ho fotografato quell’oblò tutte le mattine del viaggio alla stessa ora, dall’interno della cabina. In seguito, mesi dopo il mio ritorno dal Brasile, ho casualmente ritrovato una foto in bianco e nero scattata e sviluppata da mio padre durante uno dei suoi lunghi periodi in mare. È la foto di un oblò. Fuori, il mare e il ponte di una enorme nave mercantile. 

Ho impiegato quasi un anno per organizzare questo viaggio. Non so dire se oggi potrebbe essere più difficile a causa delle nuove leggi marine internazionali e del complicato periodo storico, politico e culturale che stiamo attraversando. Non avevo mai preso un cargo né, tanto meno, avevo mai fatto un lungo viaggio in mare. 
Il mare è parte di me, delle mie origini. Lo vedevo appena sveglia, lo sentivo prima di addormentarmi. 
Era una linea all’orizzonte da contemplare, non qualcosa che avessi mai attraversato. 

 

Luoghi

  • Museo Laboratorio - ex manifattura tabacchi - Vico Lupinato, 1 - 65013 Città SantʼAngelo - Italia
             085 960555

    orario invernale: dalle 17,30 alle 21,00 orario estivo: dalle 19,30 alle ore 23,30 - chiuso lunedì e martedì

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