14/11/2017  al 28/11/2017

Cambiare il segno, Poesiale, Provenienze

A cura di: Maria Rosa Pividori, Donatella Airoldi - testo di Mimma Pasqua

Cambiare il segno, Poesiale, Provenienze
artisti: Mirella Bentivoglio, Mino Bertoldo, Romano Bertuzzi, Max Bottino, Giulio Calegari, Giovanni Campus, Loretta Cappanera, Leonilde Carabba, Alberto Casiraghy, Dadamaino, Betty Danon, Teo De Palma, Fernanda Fedi, Mavi Ferrando, Gianni Gangai, Gino Gini, Anna Lambardi,  Alessio Larocchi, Ugo Locatelli, Emanuele Magri, Bruno Munari, Patrizia Novello, Lorena Pedemonte, Cristina Ruffoni, Thea Vallé, Nanni Varale

Cambiare il segno, cambiare l'esistenza e la sua possibile rappresentazione attraverso il corpo e le sue estensioni gestuali, mentali, meccaniche e metafisiche.
Poesiale: ritrovare il segno delle “parole profonde” indagando segni, scrittura, immagini e poetiche.
Provenienze: rintracciare assonanze e cambiamenti dagli anni '60/70, un punto fermo per non perdersi, per confrontarsi col già indicato.
Una mostra visiva di buone domande, nuove armonie e/o discrepanze, nuove percezioni sollecitate dalle urgenze provocate dal grande cambiamento in atto, dalla somma delle conoscenze del secolo scorso, considerando che niente potrà essere letto come prima.
(Maria Rosa Pividori)
 
 
 Mimma Pasqua
La prevalenza costante di un’arte iconica qual‘è quella occidentale ci ha fatto dimenticare che tutto nasce da un segno che ha un valore ontologico poiché è con esso che abbiamo affermato la nostra esistenza e il nostro rapporto col mondo, che abbiamo inciso e segnato il nostro passaggio in una primitiva forma di Land Art a testimoniare una fase di evoluzione in atto e che le successive forme di relazione e comunicazione del pensiero sono state la traslazione di suoni e di immagini del reale in segni alfabetici. Dimenticando che l’arte islamica è aniconica ed ha adottato il segno generando una raffigurazione del mondo geometricamente complessa, affascinante e labirintica. È proprio per una reazione all’esuberanza di un’immagine pittorica che aveva saturato gli spazi visivi che negli anni ‘60 e ‘70 si afferma un’arte che si serve del segno e della scrittura per proporre un cambiamento che partisse dal pensiero per evidenziare la sua importanza nel processo elaborativo/creativo e che bastasse, in modo autoreferenziale, che l’arte pensasse se stessa perché per questo stesso fatto esistesse. Ed è anche per uscire dagli schemi che avevano da sempre dato la prevalenza al significato più che al significante che il segno segue nella scrittura un cammino liberatorio seguendo idealmente le parolibere dei futuristi per poi trasgredire affermando la libertà di occupare lo spazio ad libitum e scomponendo la parola in modo arbitrario. Come l’informale aveva posto l’accento sul gesto che sparge il colore senza regole precostituite o forma su campi cromatici impietosi segni primigeni inconfondibili così la scrittura inizia un cammino solitario abbandonando il campo pittorico e diventa non scrittura o immagina nuovi segni per inediti codici linguistici e poiché ogni cambiamento presuppone un azzeramento la parola può scomparire per lasciare posto al puro segno che la fa rivivere in un modo altro riaffermando il principio alla base del taglio di Fontana. Del pari la poesia cambia la sua natura di composizione ritmica particolare disarticolandosi e scomponendosi in modo imprevisto e acquisendo una nuova funzione. E oggi? Che ne è  del segno e della sua componente scritturale? Io penso che esista una linea di continuità e  che i segni del nuovo sono contenuti nel periodo che precede. Zygmunt Bauman parla di modernità liquida ed usa l’immagine della zattera nella corrente del fiume a cui non serve la bussola ma sono sufficienti pochi colpi di pagaia per evitare scogli e rapide. L’immagine serve a Bauman per dimostrare che la velocità con cui si succedono i cambiamenti non ci dà il tempo di fabbricare una bussola per cui dovremo adattarci ad una precarietà permanente, un ossimoro di nome e di fatto non facile da realizzarsi e fonte di ansie e di paure. Il compito arduo degli artisti e non solo sarà quello di costruirsi i propri punti di riferimento.
Certamente la visione del mondo influenza il modo con cui l’artista la traduce nel suo linguaggio espressivo e questo vale anche per il critico che deve studiarlo, ma ciò che mi è  possibile cogliere in un campione per forza di cose ristretto sia per le Provenienze che per il numero degli artisti in campo è che la mancanza di approdi si traduce in una libertà dagli schemi del passato e dalle composizioni lineari rigidamente strutturate e compresse in griglie e in un concettualismo di matrice socio politica e origina opere composite inclini al nomadismo tra forme e media diversi. Ma un’idea più precisa e obiettiva ha bisogno di una prospettiva più  lontana da un tempo in cui siamo immersi e a volte sommersi. Quel che è  certo  è che la parola “poesiale” inventata dalla curatrice Maria Rosa Pividori traduce perfettamente il campo tutto da inventare fra segno/scrittura e poesia visuale su cui scrivere un sogno che nasce la notte per poter morire all’alba.
 
Gli artisti
 Non con un criterio preciso ma lasciandomi guidare dalla loro suggestione esaminerò le opere degli artisti partecipanti alla mostra per coglierne alcune caratteristiche espressive in modo estremamente sintetico, condizionata dallo spazio esiguo.
In Alberto Casiraghy e Cristina Ruffoni espressioni poetiche diventano un tutto imprescindibile con le immagini in cui l’uso del colore non è secondario ed hanno una funzione straniante di matrice surrealista.
In Nanni Varale la primitiva traduzione in un inedito alfabeto segnico di sette colori da lui  scelti richiama alla memoria il processo di traslazione di Kandiskij dei colori in forme geometriche primarie e dà luogo ad un originale ”spartito” di segni racchiusi in piccolissimi quadrati o rettangoli che occupano intensamente lo spazio a volte attraversati da forme lineari in penombra a creare profondità  di campo; succederà poi che i segni si dispongano liberamente lasciando ampie zone di vuoto di pregnante misterioso senso.
In Romano Bertuzzi il legame con la natura, che è il filo conduttore del suo lavoro, si tramuta in un reticolo di segni che ricorda la corteccia dell’albero e le sue nervature.
In Patrizia Novello le lettere dell’alfabeto si dispongono a comporre nitide e non codificate strutture di parole che lasciano ampi spazi di respiro alternandosi a composizioni in cui forme geometriche come delicati bassorilievi di intima luce emergono dalla superficie cartacea corposamente materica. La serialità e la ripetizione diventano importanti modalità  compositive conferendo un misterioso carattere narrativo al trascorrere delle emozioni in un tutto immerso e protetto da una razionalità chiara che rifugge dall’ombra.
Nelle Omografie di Alessio Larocchi disegni, piccoli labirinti e figure in costruzione intervallano una scrittura segmentata che ricorda l’alfabeto Morse. Un micromondo in movimento che sfugge al pericolo del caos grazie al rigore del segno.
Gianni Gangai, che nella sua ricerca si è  ispirato a personaggi come Majakovskij, Beuys, Boetti, Jimi Hendrix, Demetrio Stratos usando materiali di recupero, scrittura, fotografia, video, testi e installazioni, interpreta visivamente con opere su carta importanti momenti della cultura beatnik degli anni ‘60 in opere cartacee nate per essere tradotte in posters di ampie dimensioni.
Max Bottino. Il segno lineare forma un’ideale trama narrativa, un ordito mentale che ha origini lontane in pazienti lavori di artigianato domestico, tessiture, mani e ricami che ricostruiscono un percorso di ricordi scandito da colori tenui e silenziosi o dal bianco su bianco che permette proiezioni/immersioni profonde.
Loretta Cappanera  presenta un’opera in sette parti dal titolo Setticlavio, che si usa per indicare l’insieme dei sette registri che formano le parti del coro. L’opera è materia tattile textil che si fa arte componendo trame di segni sempre diversi e creando una struttura di fili, di gesti minuti e calibrati.
Lorena Pedemonte. Nel suo lavoro una folla in movimento, in cammino ma anche in volo a sorvolare cieli e oceani immensi. Pure sagome segniche minutissime compongono nomadi strutture dal carattere  intimamente poetico.
Ugo Locatelli Una storia di chiara impronta concettuale la sua  di spostamenti e condensazione di senso che negli anni ‘60 lo ha portato ad estrapolare segnali stradali per farne composizioni seriali perché  ne emergesse il senso nascosto e negli anni successivi la messa a nudo del processo di formazione dell’esistente attraverso la sua scomposizione/frammentazione e ricostituzione primaria.
Mino Bertoldo. Fotografie che negli anni ‘60 rispondevano ad una finalità sociale mostrano una villa con parco di proprietà  privata su cui un gesto politicamente orientato pone il cartello ”parco pubblico”, mentre successivamente segni minutissimi eseguiti con punta bic compongono solidi geometrici ad evidenziare un cambiamento di direzione verso il sé.
Gino Gini. Nel suo lavoro la stretta relazione tra immagine-parola-scrittura assume un valore auto significante che si integra con l’immagine. Nel contesto dell’opera la fotografia ha  il valore di gesto poetico e le frecce direzionali e le citazioni conferiscono  al tutto un importante aspetto narrativo.
Fernanda Fedi. L’artista ha azzerato la struttura geometrica degli anni ‘60 e ‘70 preferendo inoltrarsi nella sua ricerca sul terreno poco esplorato di alfabeti arcaici, minoici, etruschi in cui la sontuosità della luce e dei colori dalle calde tonalità sono un carattere distintivo ineludibile. 
LeoNilde Carabba adotta forme circolari iscritte nel quadrato di derivazione alchemica, di gusto orientale e simbologia al femminile, preferendo colori vitali come l’arancione, il verde, l’azzurro, il giallo, mentre il loro carattere fluorescente/ fosforescente esaltato e rivelato dalle luci di Wood conferisce all’opera un carattere mistico e  coinvolgente che chiama lo spettatore a diventare parte attiva dell’opera. 
Anna Lambardi. La suggestione del passato connota il lavoro di Anna Lambardi che nasce da un collage di vecchie stampe ridotte in pezzi minutissimi e poi elaborate digitalmente a comporre scene fantasiose di mari pietrificati e di cieli di gusto romantico il cui mistero è acuito dalla presenza enigmatica di una inedita, misteriosa scrittura.
Giulio Calegari. “Profondo respiro sotto la pietra del mio giardino” e “Appaiono e volano come i sogni all’alba” sono i titoli di due opere/collage di elementi naturali come le pietre arenarie e gli insetti larva che compongono le frasi di respiro poetico che Giulio Calegari, artista, prende in prestito dal suo essere archeologo e scrittore.
Teo De Palma. L’immagine di figure misteriose, della mano e di una sfera come bolla d’aria sono elementi presenti insieme a parole e versi poetici evocativi di una memoria e di un tempo che ha lasciato l’impronta del suo passaggio in opere che paiono alludere ad una realtà  altra.
Emanuele Magri, che dagli anni ‘70 si occupa di scrittura e arti visive sperimentando l’autoreferenzialità  e la pluralità di significati della parola, per questa mostra ispirandosi alla strutture primarie dei Minimalisti (parallelepipedi di grandi dimensioni) ha costruito 150 varianti sul tema attaccando parallelepipedi di cm3×3×1 su una base argentata di cm5×7 e, riprendendo la poetica concettuale dell’auto referenzialità delle lettere che nominano l’oggetto, ha composto la scritta MINIMINIMAL.
Mavi Ferrando. La sua ricerca costruita nel tempo con sculture e bassorilievi in ferro o legno assume il segno come connotazione peculiare. È un segno che si contrae fulmineo a zig-zag sicché l’impressione è di una stabilità in movimento che rifugge quasi sempre da forme ondulate per preferire contorni spigolosi.
Col tempo ha assunto uno spessore sempre più sottile accentuando la sua bidimensionalità ed elaborando una sorta di scrittura segnica componibile a piacere: site specific.
 

 

Luoghi

  • Quintocortile - Viale Bligny, 42 - 20136 Milano
             02 58102441     338. 800. 7617

    orario:mar, mer, ven 17.15-19.15, giovedì su appuntamento - ingresso libero

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