Madella Gianni

Gianni Madella è nato a Mantova nel 1931. Interrotti gli studi liceali e ottenuta la licenza all’Istituto Adolfo Venturi di Modena (corso di decorazione con Spazzapan), frequenta l’Accademia di Bologna seguendo per quattro anni l’insegnamento di Virgilio Guidi. Grazie a questo Maestro, l’incontro con gli autori contemporanei avviene in modo intenso, senza pedanti remore scolastiche. In un primo tempo guarda a Fontana, Burri e Rothko, poi precisa un deciso orientamento nei confronti di Fautrier, intorno al quale (ma anche a De Pisis) svolge una lunga serie di esercizi, e di Pollock. Del primo coglie il lavoro sulla materia e l‘uso di procedimenti insoliti, quasi magici, come gli “spolveri” (oltre che la mitologia arcaizzante), mentre apprezza del secondo la capacità di dominare, con il metodo, l’irruenza del dettato gestuale. Guidi gli funziona come un ponte classico tra i due, specialmente per la tematica e lo stile dei Tumulti e delle Architetture umane e cosmiche. Tanta parte dei successivi motivi deriveranno a Madella proprio da simili confronti. Trasferitosi a Milano, prende partito per una posizione pittorica duramente antagonista verso il modernismo e ogni forma di astrazione “pura” (proprio perché depurata totalmente dall’io). Insofferente anche della propria generazione, per lui troppo interessata a estetizzare oggetti ed ambienti, cerca lo scontro diretto con l’edonismo pittorico e propone in alternativa delle forme energiche, “competitive”, che intendono essere al tempo stesso fisicamente pregnanti e psichicamente dense, spirituali. Cerca l’immagine come emblema e archetipo culturale. Per questo riprende alcune icone della storia figurativa tardomedievale e umanistica, sottese alle gure, per farne le protagoniste delle sue tele, le “ali”, i “troni”, le “cupole”, le “colonne”, oppure, risalendo all’indietro dai moderni agli antichi, per esempio da Giacometti a Giotto o da Licini al Beato Angelico ai senesi. Ritaglia qualche brano iconografico, intendendolo come significativo di una scena profonda che agita segretamente la rappresentazione di superficie, ma non si lascia afferrare: brani figurali da lui chiamati “sinopie”, ai quali dà un’articolazione anche simbolica.